Mario Draghi, presidente della BCE, ha aperto le porte a ulteriori stimoli se le prospettive economiche e di inflazione nella zona euro rimangono basse, all’ombra di uno scenario dominato da rischi al ribasso per le attività.
“Siamo certi che la politica monetaria continua ad accompagnare l’economia”, aveva affermato tempo fa ad inizio anno il numero uno della BCE, “adeguando il nostro orientamento sui tassi di interesse per riflettere le nuove prospettive di inflazione”. Queste dichiarazioni facevano intuire l’intenzione delle Banca centrale di “stabilizzare” i tassi di interesse almeno fino a marzo 2020. Poi, è stato deciso che l’allentamento quantitativo sarebbe terminato alla fine del 2019.
A quel punto, i mercati erano già stati indotti a ritardare il primo aumento dei tassi di interesse nell’Eurozona fino a ottobre 2020. Un aumento stimato a +10 bp, inteso in termini di deposito e in uno scenario in cui i tassi a breve termine sarebbero rimasti negativi almeno fino alla primavera del 2022.
In questa linea, la curva CMS conferma di operare nell’ipotesi che la BCE non aumenterà i tassi di interesse nell’attuale fase espansiva. In questo contesto, ancora più importante è il messaggio di Draghi sulle implicazioni dei tassi di interesse negativi: “Se necessario, dovremmo riflettere su possibili misure che preserverebbero le implicazioni favorevoli dei tassi negativi per l’economia, ma allo stesso tempo mitigare gli effetti secondari”.
Secondo il bilancio della BCE del 22 marzo, le risorse immobilizzate nella banca depositaria hanno raggiunto 620.177 miliardi di euro e l’importo depositato nei conti correnti della banca centrale ha raggiunto 1.351 miliardi di euro, anche se si deve detrarre dalla seconda cifra quasi 130 miliardi di euro che corrispondono alle riserve minime. Nel complesso, quasi 1,85 miliardi di euro sono ancora immobilizzati nei depositi della BCE, sinonimo di un’economia che non offre alle banche alcun margine per sviluppare adeguatamente la propria attività.