Tre banche europee facenti parte del gruppo italiano UniCredit hanno accettato di pagare 1,3 miliardi di dollari come risoluzione alle accuse da parte delle autorità federali e statali statunitensi, le quali hanno scoperto che avevano instradato centinaia di milioni di dollari provenienti da entità sanzionate in Iran e altrove.
UniCredit Spa, la tedesca UniCredit Bank AG e l’UniCredit Bank Austria hanno accettato di pagare 405 milioni di dollari al Dipartimento dei Servizi Finanziari dello Stato di New York, 316 milioni di dollari al Procuratore distrettuale di Manhattan, 158 milioni di dollari alla Federal Reserve e altre centinaia di milioni a procuratori e legislatori federali. Inoltre, le banche hanno accettato di migliorare il loro lavoro di monitoraggio e conformità.
Secondo le accuse, risalenti ai primi anni del 2000, le banche avevano aiutato entità appartenenti a paesi sanzionati come Iran, Cuba e Libia a commerciare in dollari nel sistema finanziario statunitense, nonostante fosse loro vietato l’accesso.
In una dichiarazione, l’assistente del procuratore generale Brian Benczkowski della divisione penale del Dipartimento di giustizia ha affermato che “l’integrità del nostro sistema finanziario richiede che le istituzioni bancarie rispettino le nostre leggi, e l’UniCredit non l’ha fatto. La sanzione di 1,3 miliardi di dollari è per aver violato quanto stabilito dal governo e per aver messo a rischio il nostro sistema finanziario”.
L’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan ha scoperto quanto fatto da UniCredit quando ha iniziato ad indagare su una compagnia che commercia armi della Repubblica islamica dell’Iran, un’entità colpita da sanzioni nel 2011 per il suo presunto ruolo nel programma nucleare del paese. “Non abbiamo mai smesso di seguire i soldi”, ha dichiarato in un comunicato il procuratore distrettuale Cyrus Vance.
UniCredit ha dichiarato di aver collaborato con le indagini e ha affermato che le sue banche controllate “rimangono impegnate a proseguire la cooperazione con le autorità di regolamentazione a livello globale”.