Nonostante le attività commerciali siano chiuse per la stragrande maggioranza, i comuni aumentano il costo della Tari, la tassa sui rifiuti.
E’ un ossimoro, una contraddizione ma purtroppo in questa fase così problematica di gestione del nostro paese può succedere anche questo. Le attività commerciali sono chiuse ma i comuni aumentano il costo della Tari. E’ assurdo che con una riduzione della produzione di rifiuti il costo per il servizio sia più alto ma è questa la situazione che si sta palesando in queste ore in diverse zone d’Italia.
Una situazione inaccettabile, che mette ancora più a repentaglio la sopravvivenza di tanti negozi del nostro paese. La crisi economica, strettamente connessa a quella sanitaria, sta provocando danni incalcolabili. Ma oltre al danno si aggiunge la beffa. I negozianti pagano più di Tari in questa fase di chiusura che durante le normali attività.
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Aumento della Tari per le attività commerciali
La chiusura delle attività commerciali, legata all’emergenza sanitaria, ha portato conseguentemente alla riduzione della produzione di rifiuti, complessivamente 5 milioni in meno rispetto al 2019. Al netto di questo dato, però, deve essere considerato il costo totale della tassa rifiuti, la Tari, che ha raggiunto un livello record di 9,73 miliardi con un incremento dell’80% negli ultimi 10 anni.
Secondo i dati forniti dell’Osservatorio Tasse locali di Confcommercio su 110 capoluoghi di provincia e città metropolitane, quasi l’80% dei comuni non ha ancora definito il modello “chi più inquina più paga”.
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Nel 58% dei casi costo della Tari è aumentato mediamente del +3,8%. Per un bar di 100 metri quadrati, ad esempio, la Tari nel 2020 è aumentata di 112 euro, mentre per un supermercato di 100 metri quadrati nel comune di Torino l’aumento arriva a 312 euro.