Libia, sparatoria in un centro di detenzione a Tripoli: minori feriti dagli spari

La troupe di Medici Senza Frontiere in Libia assiste malati e feriti per le condizioni deplorevoli in cui i detenuti vivono e per atti di violenza fisica che subiscono. Anche i minori sono colpiti con armi da fuoco.

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L’8 aprile una sparatoria a Tripoli ha ucciso un uomo e ferito altri 2, in un centro di detenzione. Avevano 17 e 18 anni gli adolescenti che colpiti con armi da fuori sono stati trasferite per cure mediche urgenti presso uno dei team di Medici senza Frontiere che riporta la notizia in un comunicato.

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“Questa sparatoria dimostra i gravi rischi che affrontano le persone rinchiuse nei centri di detenzione per un periodo di tempo indefinito. Quest’ultimo atto di violenza è una chiara conferma che i centri di detenzione sono luoghi pericolosi”.

Queste sono le parole di Ellen Van Der Velden, Responsabile dei progetti MSF in Libia, che si confondono per l’ingiustizia e la violenza singolare della vicenda, con l’ultima inchiesta di Francesca Mannocchi, la quale non trova differenza tra i centri di accoglienza e quelli di detenzione in Libia nel suo reportage trasmetto in parte durante la trasmissione televisiva Propaganda Live.

Condizioni deplorevoli sono quelle dei detenuti rinchiusi in questi centri tra rifugiati, migranti, minori non accompagnati.

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All’aumento delle tensioni civile segue un aumento del numero di rifugiati in fuga dalla Libia, intercettati dalla stessa Guardia Costiera Libica finanziato dall’Unione Europea. Da qui ne è derivato un aumento ingestibile del numero di detenuti e del peggioramento di condizioni in cui questi riversano nei centri: solo nel mese di febbraio il numero di detenuti è aumentato da 300 a 1000, con un totale attuale di 1500 persone. Un sovraffollamento che si esprime con ulteriori numeri: una persona a metro quadro, un prossimità fisica impensabile in tempi di pandemia oltre che per le malattie infettive li già diffuse come tubercolosi e scabbia.

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L’équipe di Medici senza Frontieri dichiarano solo nel mese di febbraio di aver curato 36 persone per fratture, traumi, abrasioni, lesioni agli occhi, ferite da arme da fuoco. La natura delle ferite evidenzia pratiche violenti nelle detenzioni e problemi agli arti per scomodità evidenti fisiche.

Torna così la parola sicurezza, una luce lontana, un privilegio che ha il colore delle bandiere, non ancora la consapevolezza che si tratti di una questione eminentemente umanitaria. Di questa emergenza neanche il Premier Mario Draghi il 6 aprile, in occasione del suo primo viaggio diplomatico, ha espresso il cordoglio o dichiarate posizioni di avversità per la detenzione arbitraria in Libia.

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