Erano forse in molti a sperare che questa pandemia di coronavirus, arrivata all’improvviso alla fine del 2019, potesse aiutarci a rigenerare i valori di una società più equa e più giusta.
La retorica che ha avvolto i notiziari televisivi ed ha imposto la sua egida nel “saremo tutti più buoni” non sussiste con dati alla mano. Si tratta oltretutto di un’affermazione che deresponsabilizza e attribuisce ogni male ad un virus invisibile che ha seminato morte ed acuito ed incrementato divari tra ricchi e poveri.
Il Covid-19 ha reso evidente come la politica si sia rivelata inadeguata nel garantire servizi pubblici a tutela della salute pubblica per tutti, in egual modo. L’endemia è diventata pandemica per l’assenza di confini nelle disuguaglianze e nelle conseguenze che le stesse genereranno e si riverseranno in ogni parte del mondo.
E’ sempre una questione politica il confine tra la vita e la morte, come quella di non aumentare gli aiuti economici per evitare che 34 milioni di persone quest’anno soffrano la fame.
Uno scenario che naturalmente, non può che destare profonda preoccupazione
Per questo 200 Organizzazioni non governative, tra cui Save The Children, in una lettera provano a fornire loro quelle soluzioni finora mai arrivate dai vertici di potere. Ora che 55 milioni di persone, in 7 paesi, sono sull’orlo della carestia per l’effetto combinato di conflitti, per disuguaglianze estreme e pandemia.
La proposta del Programma alimentare mondiale Nazioni Unite e della Fao è spostare risorse economiche dedicate a spese militari, equivalenti ad un’operazione di 26 ore, verso quei 58 paesi con 174 milioni di persone che rischiano di morire di malnutrizione. Si tratta dell’equivalente di 5,5 miliardi di dollari su 1,9 trilioni di dollari spesi annualmente per operazioni mondiali, che potrebbero salvare invece la vita per milioni di persone.
Risulta evidente che l’impegno sul tema delle organizzazioni umanitarie non può certo essere sufficiente.
Deve essere assunta dai vertici di potere tale scelta altrimenti l’indifferenza sfocerà in violenza, e non ci saranno confini o dogane che riusciranno a contenerle: “I leader mondiali devono agire ora per prevenire livelli di sofferenza senza precedenti, attraverso maggiori finanziamenti e sforzi diplomatici per porre fine ai conflitti e migliorare l’accesso umanitario “, ha dichiarato David Miliband, CEO e Presidente dell’International Rescue Committee.
Oltre 55 milioni di persone a rischio carestia
E bisogna agire prima che sia troppo tardi.
Non si tratta di una profezia, ma di una previsione basata su evidenze numeriche oltre ad essere il titolo del nuovo rapporto di OXFAM.
Si tratta della richiesta di finanziamenti dal Piano di risposta delle Nazioni Unite al Covid al fine di garantire non solo risorse economiche dirette per l’acquisizione di beni alimentari di prima necessità, ma anche risorse umane.
Yemen, Nigeria, Burkina Faso, Sud Sudan, Afghanistan e Repubblica Democratica del Congo sono sono i 7 paesi più colpiti al mondo dalla crisi alimentare. Eppure qui sono arrivati solo il 10% delle risorse necessarie per fronteggiare le criticità generate dalla fame. Questi stati rischiano di essere fagocitati dall’oscurità più profonda: soccorritori umanitari vengono catturati da bande armate, scomparendo in una natura fitta e maligna.
“Come operatori umanitari non possiamo nemmeno raggiungere in sicurezza le persone per aiutarle. Alcuni dei nostri operatori hanno intrapreso viaggi rischiosi per raggiungere comunità affamate, sono stati rapiti e ora non sappiamo dove si trovino. Questo ha un enorme impatto sul nostro staff che cerca disperatamente di aiutare la popolazione“, spiega Ahmed Shehu, coordinatore regionale per la rete della società civile del bacino del lago Ciad.
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Tra la linea della fame e della morte, c’è molto altro: la disperazione di chi vuole togliersi la vita perché incapace di procacciare cibo per i figli, e la violenza generata dall’estreme condizioni in cui le popolazioni riversano, che conducono a guerriglie civili e malesseri sociali.
Sono queste le brutture umane che seminano e generano disvalori che resistano alla morte, che orienteranno le giovani generazioni all’odio, perché non conoscono altro, in quei paesi dove l’oblio non cede spazio alla speranza.
“In paesi come il Sud Sudan, stiamo già ricevendo segnalazioni di morti legate alla fame e di famiglie che rimangono intere giornate senza cibo.” spiega Anne-Birgitte Albrectsen, CEO di Plan International “altri stanno facendo scelte strazianti, facendo sposare presto le proprie figlie o risparmiando il poco cibo che hanno a disposizione per i membri della famiglia che lavorano. È fondamentale che i leader mondiali si facciano avanti e forniscano più fondi per l’assistenza umanitaria, altrimenti rischiamo milioni di morti evitabili”
I livelli di interdipendenza non permettono più di relegare problemi di tale portata nella banale ristrettezza di un confine politico o geografico: è un problema al livello globale quanto radicale.
Non è una questione riducibile al fallimento morale che ne deriva dall’indifferenza dei paesi leader, ma l’esempio che da questi ne deriva nel solco di una legittimazione costante delle disuguaglianze.
“Che si tratti di Yemen, Siria o RDC, i finanziamenti per rispondere alla crisi alimentare non si stanno concretizzando. Eppure trilioni di dollari vengono investiti in misure per salvare aziende di tutto il mondo. I donatori devono farsi avanti. Non è una questione di convenienza; è una questione di volontà politica“.
Le parole di Sofía Sprechmann Sineiro, Segretario generale di CARE International sciolgono in modo chiaro una matassa che oscura le gravi conseguenze di questa tendenza politica. L’unico insegnamento che la pandemia porta con se è la consapevolezza che nessuno si salva da solo, e che ogni azione non pensata per il bene collettivo, ritorna violentemente contro di noi.