In una recente intervista Di Maio annuncia la strategia per riportare Zaki in Italia: il silenzio. Focus on Africa dissenta dalla decisione del Ministro.
“La colonna sonora dei regimi autoritari è il silenzio. Non bisogna esserne complici.” Con queste parole di biasimo l’associazione Focus on Africa, tramite la firma di
In una recente intervista il Ministro degli Esteri ha appellato come inutili, se non dannose, le mobilitazioni pubbliche in favore dello studente e attivista egiziano, rinchiuso in carcere da 15 mesi.
Secondo il parere di Di Maio, la portata mediatica sollevata sul caso otterrebbe come unico effetto l’irrigidimento della controparte egiziana, allontanando così la possibilità del rientro di Zaki in Italia.
“Per quelli che abbiamo portato a casa in questi anni – ha aggiunto Di Maio – la notizia è stata data quando hanno messo piede in Italia”.
Ma come sottolinea Riccardo Noury, Patrick Zaki non è Silvia Aisha Romano, ed il governo egiziano non è un gruppo di guerriglieri. La condizione di detenzione dello studente egiziano è più complessa. I capi d’accusa che pesano sull’attivista politico sono gravi, e la questione di Zaki e molto più vicina a quella di Regeni che non di Silvia Romano.
Aggiunge Noury: “Non vengono in mente, tuttavia, altri casi di prigionieri di coscienza detenuti illegalmente nelle carceri di uno stato amico che l’Italia abbia fatto liberare in tal modo.”
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Come si può pensare che “alleggerire i toni” su una questione tanto grave come quella di Zaki sia una mossa vincente?
Il silenzio è il passo che precede l’omertà, e lasciare Patrick Zaki solo, nelle mani di un governo che lo vede come un istigatore alla propaganda sovversiva, sarebbe la firma ad una sua condanna definitiva.
Il perdurare della condizione detentiva “preventiva” dello studente egiziano mostra come il concetto di giustizia va rapidamente modificando i propri presupposti originari. E la complicità dell’Italia, la cui formula del silenzio si avvicina pericolosamente al “silenzio assenso”, non fa altro che sottolineare gli stretti rapporti politici che il nostro paese detiene con l’Egitto.
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Continua Noury: “Se la strategia del silenzio fosse stata applicata dall’inizio, Patrick sarebbe stato inghiottito in qualche scantinato di tortura al Cairo e forse non saremmo ancora qui a chiedere la sua scarcerazione.”