Davide, 25 anni, è stato oggetto di aggressione verbale da parte di un professore dell’Università di Messina. Ha deciso di denunciarlo, senza rivelarne pubblicamente l’identità.
La maggior parte delle università pubbliche italiane riporta una targa su cui c’è scritto: “Questa facoltà ripudia ogni forma di fascismo e di razzismo”. Purtroppo, come avviene in molti casi, la teoria e la consuetudine sono divise da un oceano di pregiudizi e di cultura dell’odio, che colpisce anche gli istituti che dovrebbero essere più illuminati.
Un professore dell’Università di Messina, ha insultato su Facebook Davide Curcuruto, 25 anni, originario di Messina ma studente a Bologna.
Si riportano in questa sede alcune delle frasi di odio ricevuti da Davide, ad onor di cronaca, non per alimentare la morbosità su questi temi, che al contrario meritano sensibilità e una visione più ampia delle parole stesse.
L’anonimo docente ha commentato il profilo di Davide: “Guardate questo fr**** perso”; “Dovrebbero fargli un TSO”; “Così conciato al sud ti pesterebbero a sangue, ma tanto ti piace“. In alcuni commenti alle parole di odio (che rasentano la minaccia) del docente si legge che qualcuno si augurava che Davide venisse “epurato”. La parola epurazione rimanda a tempi bui non troppo lontani, ma evidentemente ancora molto presenti nel tessuto sociale.
Davide ha deciso di sporgere denuncia, non per attirare su di sè l’attenzione mediatica o per spedire alla gogna il docente (infatti non ne ha rivelato pubblicamente l’identità), ma per essere da esempio per tutti i ragazzi che non hanno il coraggio di denunciare gli episodi di discriminazione di cui sono vittime.
La discriminazione sessuale, come quella razziale, porta con sè il dannoso pregiudizio nei confronti dell’essere, non del fare. In sintesi, un soggetto diviene oggetto di odio e violenza per la propria sola esistenza nel mondo e non per il suo modo di agire. Questo contravviene a qualunque regola etica ed è inaccettabile.
Davide è andato via dalla propria città natale, Messina, proprio per fuggire dagli insulti quotidiani e dalle violenze di cui era vittima.
Racconta il ragazzo: “Una volta, quando avevo circa 16 anni ed avevo da poco fatto coming out, mi trovavo in stazione con il mio primo fidanzatino. Un gruppo di ragazzi ci vide mentre ci stavamo dando un bacio e da quel momento iniziarono a perseguitarmi, fino ad arrivare all’episodio più grave e per me traumatizzante: dentro un bus, mi riconobbero e cercarono di sollevarmi di peso per lanciarmi dall’autobus in corsa in una strada a strapiombo sul mare”.
Nessuno, sull’autobus, ha cercato di aiutare il ragazzo. L’indifferenza di cui tutti si sono fatti complici ha contribuito a creare in Davide un senso di inadeguatezza di fronte alla società.
Il Rettore dell’Università di Messina ha avviato un procedimento disciplinare a carico del docente. Mettere in luce questo ulteriore episodio di violenza è necessario per ricordare alla cultura patriarcale italiana che i danni fisici e psicologici che si possono provocare ad un essere umano partono dalle parole, spesso non così innocue come si crede.
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Il solo utilizzo di appellativi offensivi porta ad una catena di accettazione comune di un linguaggio discriminatorio che facilmente può sfociare in violenza. Chiunque utilizzi termini omofobici, seppure in veste goliardica, non può sentirsi assolto da un episodio grave come quello di cui è stato vittima Davide Curcuruto.