Uno studio USA usa un algoritmo per rilevare la depressione dalla cadenza e dal tono vocale
La depressione è un fenomeno molto diffuso nella società contemporanea, o meglio, la società attuale è fornita di maggiori strumenti per identificare le patologie depressive.
Nel linguaggio comune “sono depresso” è una locuzione usata comunemente, ma che più spesso si riferisce ad un’instabilità emotiva passeggera. La depressione diagnosticata, al contrario, è una malattia a tutti gli effetti, con ripercussioni serie sull’organismo anche al livello somatico. Quindi è bene non fare confusione.
Le statistiche post pandemia hanno diffuso dati inquietanti sull’insorgere o l’inasprirsi dei fenomeni depressivi nella società occidentale. Per questo motivo molti studi si stanno orientando nell’identificazione e nella correzione della depressione nella sua fase precoce.
In occasione del 180imo “Meeting of the Acoustical Society of America”, Carol Espy-Wilson, dell’Università del Maryland, ha presentato uno studio che mette in relazione l’analisi del tono e della cadenza vocale con i livelli di depressione di un individuo.
Questa rilevazione è possibile grazie ad un algoritmo. La ricerca sostiene che la depressione è associata ad un rallentamento psicomotorio, che si riflette nella modalità comunicativa.
Attraverso la voce si possono identificare i livelli degli stati depressivi. Questa scoperta, a parere degli studiosi che l’hanno realizzata, potrebbe diventare una app di supporto per gli psicologi e di autocontrollo per gli individui.
In poche parole, il soggetto depresso potrebbe monitorare per conto proprio i suoi stati depressivi scaricando una app che ne registri ed analizzi la voce. In questo modo il software metterebbe in allarme il soggetto quando il livello depressivo supera determinati limiti. Ora, mantenendo il dovuto rispetto per le scoperte scientifiche che coniugano la cibernetica con altre discipline, sarebbe legittimo nutrire dei dubbi sull’efficacia di tale strumento.
In primo luogo perché, a parere di chi scrive, l’autocontrollo sulla depressione non può prescindere dal rischio di alterare inconsciamente il modo di parlare nel momento in cui ci si sente valutati.
In poche parole c’è il pericolo che si crei il paradosso del gatto di Schrödinger, dove l’osservazione di un fenomeno inficia il fenomeno stesso, e mette a repentaglio l’attendibilità dello studio.
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Fonte: Ansa