Tempi incerti, poche risorse, e il rischio di danneggiare aziende che poi non avrebbero più fondi per una vera riconversione energetica. Queste alcune delle accuse mosse sulle prime bozze del nuovo piano Ue per la salvaguardia dell’ambiente. Un documento che, quantomeno nelle intenzioni, si propone di guidare il vecchio continente verso una produzione realmente sostenibile.
La Commissione Europea si accinge a presentare nella giornata del 14 Luglio 2021 un nuovo pacchetto per la lotta al cambiamento climatico. Un altro tentativo di migliorare le politiche attuali allo scopo di raggiungere gli obiettivi che erano stati concordati in precedenza dal consiglio e dal Parlamento Europeo per quello che la Von der Leyen definì a suo tempo un nuovo “Green Deal” europeo.
L’intenzione è quella di fare il possibile per ridurre del 55 per cento, rispetto alle stime degli anni 90, le emissioni di gas serra, e raggiungere in seguito la neutralità climatica entro il 2050. Sarà fondamentale però che, oltre al settore energetico, siano anche le altre filiere produttive ad adeguarsi a queste nuove norme, tra cui ad esempio quella manifatturiera, che continua a ricevere gratuitamente tutte le quote di gas serra necessarie alla produzione. Una scelta che naturalmente ha scatenato l’ira delle lobby dei produttori che faranno il possibile per evitare l’adozione di questo nuovo piano. Una battaglia che forse hanno già vinto, se è vero come riporta il Fatto Quotidiano che le bozze che arrivano dai vertici Ue stanno scontentando non poco i movimenti ambientalisti.
E nemmeno l’idea di una nuova tassa per chi importa da paesi fuori dall’Unione Europea , allo scopo di diminuire lo svantaggio sui prezzi nella produzione del vecchio continente, sembra poter realmente incidere in tal senso. Per questo, sono in molti a parlare dell’ennesima occasione persa per invertire la rotta e intraprendere un vero percorso verso la sostenibilità produttiva nel rispetto dell’ambiente. Lo scorso era stato Valdis Dombrovskis, vice della Presidentessa Ue, a dichiarare che era intenzione della Commissione riformare il sistema denominato Eu Emissions Trading System. Uno standard nato nel 2005 che aveva fissato un tetto massimo alla produzione complessiva di Co2. Oltre a questo, anche la promessa di eliminare a breve anche tutte le quote che al momento vengono ceduto in modo gratuito alle industrie. Un disincentivo che nelle parole del vice della Von der Leyen sarà accompagnato anche dall’introduzione di una tassa che avrà il compito di scoraggiare le importazioni da quei paesi i cui standard ambientali sono ritenuti troppo bassi.
Naturale dunque, che le ipotesi sul tavolo stiano scontentando non poco i grandi gruppi industriali che vedrebbero così ridurre progressivamente le loro quote di profitto nel momento in cui queste limitazioni diventeranno legge. Questo permetterà alle aziende che operano in Europa di poter competere sul mercato senza dover scontare i prezzi al ribasso di chi, producendo senza rispettare l’ambiente, ha la possibilità di spendere pochissimo per la realizzazione di prodotti e servizi. E se le lobby produttrici sono sul piede di guerra è anche perchè il prezzo delle quote di Co2 continua a salire. Basti solo pensare che il prezzo attuale è di 52 euro a tonnellata contro i 20 dell’anno scorso. Logico dunque che un ulteriore aumento rappresenti per loro l’ennesimo contraccolpo economico ad un’economia mondiale già profondamente colpita dalle conseguenze economiche della pandemia. Eppure, qualunque motivazione e giustificazione in merito possano portare le lobby a Bruxelles, il punto resta sempre lo stesso: a questi livelli di produzione, con le attuali quantità di C02 richieste per soddisfare il fabbisogno produttivo del pianeta, stiamo condannando noi stessi, a una fine che più passa il tempo, più diventa sempre più difficile da evitare.
Brasile, India, Sudafrica e Cina, nel corso di una riunione per discutere delle misure da intraprendere per contrastare il cambiamento climatico, hanno firmato una dichiarazione congiunta. In questa, hanno espresso una profonda preoccupazione per le barriere commerciali che intendono instaurare. Una possibile tassa sul carbonio nelle frontiere ad esempio, che ritengono dannose per la loro filiera produttiva e oltretutto altamente discriminatorie e contrarie a quel principio di equità che dovrebbe dominare il mercato. Il gruppo industriale Eurofer, in una lettera pubblicata sul Financial Times, ha spiegato che l’introduzione di questa nuova tassa finirebbe con l’esporre i principali produttori a un costo del carbonio semplicemente insostenibile, sottraendo con un effetto a catena, anche i fondi necessari a convertire nel tempo le loro filiere produttive. Per quanto riguarda invece la bozza, denominata “Carbon border adjustment mechanism” che dovrebbe essere approvata a luglio dai vertici ue, diverse sono le proposte destinate a far discutere anche oltre la questione della tassa sulle emissioni.
Anche se in realtà, vi sono diverse perplessità in proposito. In riferimento ad esempio all’introduzione di questi “dazi ambientali”, non viene specificato da nessun documento a partire da quando le aziende inizieranno a pagarle. Anche se alcuni sostengono che questo “buco” potrebbe essere colmato con un provvedimento specifico.
Non convince gli ambientalisti nemmeno la questione inerente il calcolo delle emissioni incorporate. Sembra infatti che per la sua applicazione, si sia elaborata una prassi davvero complicata da seguire per le industrie, ragione per cui vi sono diversi dubbi sul fatto che questa possa trovare una reale applicazione.
E sulla questione si è espresso anche Matteo Leonardi, esperto di politiche e mercati energetici, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano. L’uomo ha in primo luogo sottolineato quella che a suo parere è la più grande contraddizione insita nelle bozze circolate sul tema. Leonardi ritiene insensato continuare a regalare a certe aziende quote gratuite se poi poi si impongono dazi per le stesse agli altri partner commerciali. Una situazione che oltre a non costituire un reale freno all’inquinamento, ma semmai un ulteriore incentivo, rischia di creare anche tensioni geopolitiche. Ma il vero problema è che “il meccanismo è molto complesso e di difficile applicazione: un importatore dovrà pagare solo perché produce in un Paese extra Ue o si terrà conto delle caratteristiche del suo stabilimento? Le regole del Wto richiedono di valutare caso per caso, ma chi farà queste valutazioni? E davvero potremo pretendere che i Paesi in via di sviluppo paghino per importare?”.
Leonardo insiste rimarcando che al momento non è nemmeno chiaro quale potrà essere l’autorità imparziale indicata a svolgere queste valutazioni. Per tutti questi motivi, l’uomo non giudica positivamente il nuovo piano Ue e al contrario, la sua impressione è che sia trattata la questione in modo molto superficiale, come se l’intento fosse semplicemente quello di poter asserire di aver quantomeno inserito nell’agenda politica la questione.
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Non esclude inoltre che alla fine, i negoziati in questo senso porteranno ad un esito molto diverso da quello prefissato a causa di questa grande confusione normativa e politica. Una proposta che rischia dunque secondo Leonardi di creare tensioni diplomatiche che potrebbero addirittura in futuro mettere in pericolo futuri accordi in grado di salvaguardare realmente il nostro pianeta.