Continuando di questo passo, entro il 2050 nei nostri mari troveremo più plastica che esseri viventi
Mettere fine alla produzione di plastica entro il 2040 e utilizzare a partire da questa data, soltanto quella riciclata.
Questo l’appello che è stato lanciato da un gruppo di scienziati sulla prestigiosa rivista Science. Un articolo in cui i ricercatori chiedono ai governi di tutto il mondo di fare il possibile affinché la produzione di plastica vergine cessi al più presto, promuovendo al contempo i modelli di economia circolare. Ma non solo, perché secondo gli studiosi, è ormai indispensabile anche dare inizio il prima possibile a una campagna mondiale di sensibilizzazione per rimuovere tutti i rifiuti di plastica che da decenni la popolazione abbandona nel nostro ecosistema. Che si tratti di una spiaggia o un bosco, la facilità con cui inquiniamo e lasciamo in questi luoghi prodotti altamente nocivi per l’ambiente, che spesso hanno bisogno di periodi di tempo lunghissimi per essere smaltiti, non è più tollerabile.
Sono gli stessi scienziati a ricordare poi nel loro articolo come a partire dal 1950, il mondo ha prodotto oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica. Una cifra impressionante, ma il dato più allarmante in tal senso è che la produzione e la domanda di plastica continuano ad aumentare. E alla fine di ogni anno, almeno 8 milioni di tonnellate finiscono nell’oceano. Abitudini che stanno lentamente distruggendo il pianeta. Basti solo pensare che a questo ritmo, entro il 2050 l’umanità avrà già riversato nell’ambiente oltre 12 miliardi di tonnellate di plastica. Un circolo vizioso che deve essere interrotto al più presto. Per evitare il disastro ambientale serve però “un approccio innovativo, che favorisca misure per ridurre la produzione di plastica vergine e comprenda passi ragionevoli verso una economia della plastica sicura e circolare”. A riferirlo è Nils Simon, uno degli autori di questo appello. L’inquinamento dell’oceano merita inoltre un discorso a parte. La situazione è infatti gravissima, al punto che la Ellen MacArthur Foundation, in uno studio dedicato al tema, ha stimato che continuando di questo passo, entro il 2050 ci ritroveremo ad avere nei nostri mari un quantitativo di plastica che sarà maggiore a quelli di tutti i pesci presenti nell’oceano. Un dato che rende bene l’idea di quanto ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno nella devastazione del nostro ecosistema. E d’altronde, il fatto che in Canada alcune settimane fa si sia registrato un record di temperature mai visto nella storia, con un caldo asfissiante sopra i 49 gradi che ha causato la morte di centinaia di persone, non è certo un caso.
Per quanto invece riguarda il mare, un punto di svolta nella comprensione della gravità dell’inquinamento che stiamo producendo, è avvenuto nel 1997. Fu infatti in quell’anno che l’opinione pubblica scoprì l’esistenza del Great Pacific Garbage Patch. Si tratta del più grande accumulo mai ritrovata nella storia di detriti di plastica, causato dalle correnti oceaniche in una zona compresa tra la California e le Hawaii. Di dimensioni altrettanto preoccupanti seppur inferiori, ne esistono altri 4 nel mondo. E l’inquinamento dei mari non è certo un problema che riguarda soltanto le coste, dove sicuramente l’inquinamento è maggiore a causa dell’abitudine di far accumulare rifiuti nelle spiagge o spesso direttamente nelle acque.
Il problema dei concimi che ogni anno vengono sversati nei mari è infatti molto grave. Tramite questi infatti, viene favorite nell’ecosistema marittime la proliferazione di alghe che tolgono ossigeno e causano la morte di milioni di animali marini. Al punto che forse non esiste al mondo un essere vivente marino che non sia stato contaminato chimicamente da questi sversamenti. E naturalmente, l’ipotesi di tanti scienziati, che fino ad alcuni decenni fa sostenevano come gli oceani risultassero però abbastanza estesi da poter sopportare e smaltire autonomamente questi rifiuti nel tempo, era tutto che una constatazione empirica. Ma in fondo, quelli erano anche gli anni in cui una buona parte della comunità scientifica negava con forza l’esistenza di un cambiamento climatico in corso. Adesso sappiamo che non è così, e che la situazione inoltre è così grave che abbiamo poco meno di un trentennio per porvi rimedio. Non che in passato non si fosse compresa in toto la gravità di questo fenomeno e non sia stato mai fatto nulla per proteggere l’ambiente. La convenzione di Londra firmata nel 1972 e il protocollo di Londra del 1996 sono stati due trattati importanti che hanno comunque cercato di iniziare a introdurre delle limitazioni a tutela del nostro ecosistema.
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Ieri come oggi però, ci scontriamo continuamente ( e quotidianamente verrebbe da aggiungere con il fatto) che nessuna di queste iniziative si è mai proposta di risolvere realmente il problema. La speranza è che l’appello rivolto al mondo da questi scienziati su Science, non si riveli l’ennesimo manifesto di una rivoluzione fallita ancora prima di nascere.
https://www.1ocean.org/linquinamento-degli-oceani/
https://www.wwf.ch/it/i-nostri-obiettivi/inquinamento-dei-mari