Si chiama Earth Overshoot Day ed è il giorno in cui il pianeta entra in sovrasfruttamento
Si chiama Earth Overshoot Day ed è il nome che la comunità scientifica ha scelto per indicare il giorno dell’anno in cui il mondo esaurisce le risorse disponibili per l’anno corrente.
Da quel momento infatti, il pianeta inizia a entrare in una fase di sovrasfruttamento dell’ecosistema consumando per il resto dell’anno risorse che in realtà dovrebbero restare a disposizione per quello successivo. Un giorno molto triste, che ci ricorda come continuiamo a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Un dilemma insito nel capitalismo stesso, ben compreso da un filosofo come Emanuele Severino: l’umanità continua a produrre perseguendo un vulnus capitalistico che imposta gli standard di produzione e il bisogno di consumo della popolazione come se le risorse fossero infinite.
Non lo sono invece, e di anno in anno l’Earth Overshoot Day arriva sempre prima.
Basti solo pensare, come fa ad esempio notare l’Ansa nel comunicato con cui ha celebrato questa giornata, che nel 1970 il sovrasfruttamento era stato rilevato il 29 Dicembre, in anticipo soltanto di pochi giorni sulla scadenza naturale.
Dopo mezzo secolo, è facile intuire quanto sia tragica la situazione se la lancetta si è spostata di sei mesi. Un’emergenza, quella climatica, che negli ultimi due anni sembra sia stata finalmente compresa nella sua gravità e urgenza dall’Unione Europea, complice forse anche la presa di consapevolezza sul tema da parte delle nuove generazioni. Se Greta Thunberg nonostante la sua giovanissima età è riuscita a diventare un simbolo della lotta contro l’inquinamento, è anche perchè la popolazione mondiale rispetto al passato ha mostrato una maggiore sensibilità sul tema. E l’Ue è sembra decisa a velocizzare i tempi per una transizione green, in particolar modo dopo l’insediamento alla presidenza della Commissione di Ursula Von der Leyen. La donna che ha sempre insistito sulla necessità di dare inizio a quello che lei stessa ha fin dal principio definito come un “nuovo green deal europeo”. Una buona parte dell’ambizione sul tema espressa dalla Presidentessa Ue, si è concretizzata nel memorandum approvato alcune settimane fa dalla Commissione Europea su energia e clima.
Massimo Tavaroni, docente presso la School of Management del Politecnico di Milano ha pubblicato un approfondimento su lavoce.info, ha cercato di analizzare e rendere più comprensibili ai cittadini il contenuto del documento, e dunque il modo in cui l’Ue intende realizzare gli obiettivi preposti. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di arrivare al 2050 con zero emissioni di CO2. Un percorso che sarà naturalmente articolato in più step: e il primo è fissato al 2030, anno in cui in gli stati membri dovranno riuscire a ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento rispetto alla produzione attuale. Uno dei punti che più risalta all’interno del documento, riguarda la volontà espressa dalla politica del vecchio continente di arrivare nei prossimi 5 anni ad avere in circolazione esclusivamente automobili e veicoli elettrici a zero emissioni. Questo però significa predisporre una strategia per consentire all’intero sistema economico-sociale di poter abbandonare, entro i prossimi dieci anni, i veicoli tradizionali a combustibile fossile. Non è semplice, e si tratta forse di una misura che sarà strettamente legata a doppio filo alla ripresa economica dopo questa terribile pandemia. Per citare una criticità tra le tante insite nella realizazzione del nuovo piano Ue per l’ambiente, bisognerà creare le condizioni affinché il ceto medio abbia la convenienza economica per acquistare veicoli e materiali ad impatto zero. Diventa difficile chiedere alla popolazione del vecchio continente di fare il possibile per assecondare questa transizione, se questo avviene a discapito non tanto della loro qualità della vita, ma della loro stessa sopravvivenza.
Discorso simile per quanto riguarda le energie rinnovabili: nel memorandum viene infatti previsto di raddoppiare la capacità produttiva del settore allo scopo di garantire almeno il 40 per cento del mix energetico che copre attualmente il fabbisogno mondiale. Molti più ambiziosi gli obiettivi posti per quanto riguarda l’efficientamento energetico, con le nazioni vincolate adesso al non facile obiettivo di raddoppiare il risparmio di energia. Una delle proposte che ha generato più perplessità durante il meeting G20 dedicato all’ambiente che si è tenuto a Venezia, ha riguardato la proposta denominata Cbam, Carbon Border Adjustment Measure. Si tratta di una legge che si propone di far pagare il costo delle emissioni di gas serra importate dall’estero: una misura che, almeno in teoria, dovrebbe disincentivare l’acquisto di prodotti economici realizzati a discapito dell’ambiente, e al contempo mettere un freno alla delocalizzazione della produzione che ha portato negli ultimi anni diverse imprese ad abbandonare il vecchio continente.
Si tratta comunque di una questione molto complessa, e anche per questo la Commissione si riserva di applicarla tra cinque anni. Una deroga che però ha scatenato numerose critiche: alcuni sostengono infatti che sia stata l’indebita pressione delle lobby produttrice a convincere la Commissione Ue ad attuare in modo morbido la Cbam. Nel documento viene anche preso in considerazione il tema delle disuguaglianze sociali: quella delineato nel documento Ue è una conversione ambiziosa, e non è semplice capire quanto sarà sostenibile economicamente per una popolazione già profondamente stremata dalle conseguenze della pandemia. Per questo, la Commissione ha previsto che una parte dei ricavi derivanti da questi nuovi mercati venga distribuita verso le famiglie con reddito più basso. ma anche qui, bisogna in primo luogo capirà in che modo verrà attuata questa redistribuzione.
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FONTI
https://www.startmag.it/economia/fit-for-55-contenuti-societa/