Secondo Greenpeace le nuove etichette sulla carne premiano gli allevamenti intensivi e non si preoccupano del benessere degli animali
Un nuovo sistema di certificazione per etichettare i prodotti alimentari di origine animale.
Questa l’ipotesi a cui stanno attualmente lavorando in Ministero della Salute e quello delle Politiche Agricole. Si baserà su un tipo di classificazione chiamata “MoneyFarm” e sarà il Ministero a decidere i criteri necessari a ottenere la certificazione.
Ma le polemiche sono iniziate ancora prima ancora che questa proposta sia stata convertita in una bozza da presentare in Consiglio dei Ministri.
Negli ultimi giorni infatti Greenpeace ha duramente criticato i Ministeri coinvolti, in quanto, spiega l’associazione, sulla base delle poche informazioni a riguardo pubblicate fino ad adesso, si tratta di un sistema che si baserà su una serie di criteri giudicati inadeguati e che dunque non riusciranno a garantire realmente il benessere degli animali all’interno dei campi di allevamento. Le nuove etichette che il Ministero intende varare, rischiano secondo l’associazione di illudere i consumatori di trovarsi di fronte a un prodotto che sostiene gli allevamenti virtuosi, quando invece la sensazione è che diminuirà il divario normativo esistente dai prodotti di allevamento intensivo. Ed effettivamente, le prime indiscrezioni uscite sul tema, fanno sorgere anche più di qualche dubbio. Secondo infatti i criteri previsti dal Ministero, allevare un suino nel rispetto della salute mentale e fisica, significa di fatto costringerlo a vivere in poco più di un metro quadrato, misure che sembrano appartenere ad un allevamento intensivo. Ma non solo perché Greenpeace evidenzia anche le possibili conseguenze sanitarie di questa nuova etichetta: continuare a promuovere spazi così ristretti e angusti, e ritenerli ammissibili ai fini di etichettare un allevamento sostenibile degli animali, significa incentivare indirettamente il diffondersi della pandemia. Nel comunicato pubblicato, l’associazione spiega infatti come gli allevamenti intensivi “rappresentano un ulteriore fattore di rischio per il diffondersi di agenti patogeni come i coronavirus o i virus dell’influenza, come dimostrano le notizie arrivate poche settimane fa dalla Polonia, colpita da un’epidemia di influenza aviaria che ha imposto la soppressione di milioni di animali”. Il monito è chiaro: le indiscrezioni filtrate fino ad adesso, lasciano presupporre che i Ministri vogliano adottare criteri che non premiano tutti quegli allevatori che ogni giorno si impegnano a garantire il benessere degli animali che allevano.
Greenpeace suggerisce al governo di cambiare strada, e pensare alla possibilità di adottare un nuovo sistema di classificazione, simile a quello che viene attualmente usati per le uova da allevamento a terra. Mettendo di fatto da parte, la proposta a cui stanno attualmente lavorando i due ministero.
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