Dal 1999 le calorie giornaliere da alimenti poco salutari sono passate dal 2,2% all’11,2%
Uno studio portato avanti dai ricercatori della Tufts University, tramite il National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), ha rilevato un’impennata negli ultimi 20 anni di consumo di alimenti ultraprocessati da parte dei bambini. I prodotti confezionati e pronti per l’uso, come la pizza surgelata, gli snack, i dolci e gli hamburger già pronti, sono senza dubbio un facile espediente per risolvere rapidamente e con poco costo la questione dei pasti quotidiani. Ma la scelta non è affatto salutare. Non stupisce troppo l’aumento dell’obesità infantile negli Stati Uniti se i bambini consumano in maniera sregolata “cibo spazzatura”.
La ricerca ha estratto i dati attraverso un campione di 33000 bambini e ragazzi dai 2 ai 19 anni, intervistandoli sulla dieta 24h. Ne è risultato che l’11,2% delle calorie giornaliere consumate derivano da alimenti ultraprocessati. Uno studio simile, del 1999, riportava la percentuale al 2,2. L’aumento spropositato di alimenti trasformati si accompagna ad una sensibile diminuzione di consumo di zuccheri provenienti da bevande dolci gassate, segno che le campagne di sensibilizzazione e le politiche “Sugar tax” hanno avuto il loro effetto.
Ora ci si aspetta che lo stesso percorso venga intrapreso per il “junk food”, responsabile, in un consumo oltre le soglie consigliate, dell’affacciarsi di malattie cardiovascolari o epatiche legate all’obesità in età precoce. La ricerca non si è limitata a stilare i numeri, ma ha fatto una classificazione in base alla classe ed etnia di appartenenza. Ne è risultato che per quanto riguarda il livello di istruzione delle famiglie di origine non ci sono sensibili differenze, ciò a dimostrare che la pubblicità che seduce in favore del cibo spazzatura è trasversale il livello di istruzione. Al contrario, le classi più povere sono state trovate con maggiore utilizzo di alimenti ultraprocessati. Se anche per il cibo spazzatura si introducesse una tassazione, ed una reale campagna di sensibilizzazione, forse il junk food non sarebbe più così appetibile, e si livellerebbe maggiormente la discrepanza tra chi possiede un reddito in grado di curare l’alimentazione e chi no.
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