I numeri dei decessi sul luogo di lavoro continuano ad essere alti, e sembra non si riesca a farli scendere. I sindacati chiedono chiarezza
Un agricoltore è stato risucchiato dalle lame di una trebbiatrice, deceduto sul colpo; due tecnici sono stati investiti da un getto di azoto liquido, e morti per ustioni da congelamento; un uomo di 72 anni è caduto da un’impalcatura di 2 metri, ed il colpo alla testa lo ha ucciso; stessa triste sorte per un operaio di 52 anni; un addetto al carico e scarico merci è stato travolto dal suo tir mentre effettuava delle verifiche nella parte posteriore del veicolo.
Sei, il numero di morti sul lavoro in una sola giornata, che si è aperta con i decessi a Milano per poi arrivare a Torino, Padova, Toscana ed alla fine varcare i confini del Nord concludendosi a Capaci, in provincia di Palermo. Le morti sul lavoro sono dette le morti bianche, termine che in passato veniva usato per i decessi infantili. Ma in questo caso il bianco non è l’immagine dell’innocenza, ma di chi è stato strappato alla vita anzitempo essendone completamente vittima. Purtroppo molto spesso queste morti vengono rubricate come “tragiche fatalità”, quando poi, a seguito di inchieste, si scopre che i dispositivi di sicurezza non erano sufficienti o che gli “incidenti” sono stati causati da malfunzionamento dei macchinari.
La Cgil di Torino non li chiama incidenti, ma “stragi senza fine” a cui non si riesce proprio a dare un contenimento. Il giorno antecedente la strage dei 6 lavoratori la Cgil si era mostrata soddisfatta del tavolo di confronto con il governo, che al termine delle trattative, aveva accolto le proposte sindacali affermando: “Il piano sicurezza sui posti di lavoro sarà pronto nelle prossime settimane. Nel frattempo assumeremo provvedimenti immediati che anticipano il piano stesso. Lavoreremo sulla costruzione di una banca dati per raccogliere le violazioni che fin qui non c’è stata. Stiamo lavorando per definire delle sanzioni più tempestive per chi viola le norme”.
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“Nel frattempo” ci sono molte giornate lavorative, e molti potenziali numeri che si potrebbero tristemente unire alle statistiche delle “tragiche fatalità”.