Diverse società che imbottigliano acqua e che producono vino hanno ricevuto minacce shock via email da parte di alcuni hacker
Un gruppo di hacker, sfruttando server in Russia, ha inviato via email una richiesta di estorsione da 30mila euro in Bitcoin a diverse società italiane che producono vino e imbottigliano acqua. La minaccia è quella di avvelenare i prodotti con il cianuro.
Sembra una storia uscita da un film di spie eppure è così e la procura di Roma ha aperto ora un’inchiesta per tentata estorsione al momento contro ignoti. Ad aver ricevuto questo inquietante messaggio sono state circa un centinaio di società sparse in tutta italia.
Non c’è nessun riscontro oggettivo del fatto che gli hacker siano russi dato che non è difficile utilizzare server che si trovano in Paesi diversi da quello in cui si trova fisicamente chi tenta questo genere di estorsioni. Il lavoro investigativo sarà sicuramente lungo.
Gli hacker minacciano: cianuro nel vivo e nell’acqua
Non fatichiamo ad immaginare come devono essersi sentiti quelli che hanno aperto le email con la richiesta di 30mila euro in Bitcoin per non avvelenare il vino o l’acqua prodotti con il cianuro, un veleno potentissimo anche a bassi dosaggi e non facilmente individuabile.
Tra l’altro, oltre al rischio per la salute, un’eventuale contaminazione da cianuro non è in alcun modo reversibile e costringerebbe viticoltori e imbottigliatori d’acqua a distruggere tonnellate di prodotto con conseguente danno economico e di immagine. E proprio su questo probabilmente puntavano gli hacker che hanno inviato questa email a oltre 100 società sparse in tutta Italia.
Dalle denunce è partita quindi l’inchiesta per tentata estorsione anche se sarà piuttosto complicato riuscire a risalire ai nomi delle persone che hanno architettato questa minaccia. Una minaccia che, in realtà, non sarebbe neanche troppo difficile trasformare in una sinistra realtà. I diversi passaggi nella produzione e nell’imbottigliamento dell’acqua e del vino, infatti, presentano momenti in cui i prodotti non sono sorvegliati e sono quindi raggiungibili e eventualmente alterabili.
Tanto è stato il panico che alcuni amministratori delegati erano anche già pronti a pagare i 30mila euro in Bitcoin ma sono stati dissuasi dagli investigatori. La storia recente, infatti, ci insegna che i soggetti che si piegano e pagano agli hacker estorsori più facilmente cadono nuovamente vittima anche degli stessi criminali instaurando così un circolo vizioso di minacce e pagamenti.
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Tra l’altro se anche solo una di queste centinaia di email Si trasformasse in realtà gli hacker, una volta stanati , sarebbero processati non solo per estorsione ma probabilmente per reati molto più gravi compreso anche l’omicidio o la strage.