“Dannosi e non necessari”, l’Isde prende posizione sugli allevamenti intensivi
Il tema degli allevamenti intensivi è molto trattato sia sul web che dalle ricerche scientifiche. I punti di vista che possono essere presi in esame sono molti: ambientalista, animalista, salutista, climatico. Qui abbiamo scelto di privilegiare una doppia chiave di lettura: gli allevamenti intensivi comportano conseguenze negative per la salute umana e per quella ambientale.
Il Covid ha riportato in auge il timore delle infezioni e dei contagi, che possono essere trasmessi da uomo a uomo, da animale ad animale, e da animale a uomo. Questo effetto viene chiamato genericamente “zoonosi”. Gli allevamenti intensivi, a causa del malessere dell’animale, sono più soggetti al verificarsi di infezioni e contagi, che talvolta possono contaminare l’uomo attraverso l’ingestione di cibo di derivazione animale. L’esperienza ha confermato che alcune malattie, come la mucca pazza e l’influenza aviaria, possono comportare serie conseguenze sulla salute umana a partire dall’errata gestione degli allevamenti destinati al macello. Contemporaneamente, la coltivazione di cereali per alimentare gli animali sottrae terreno ad altri tipi di agricoltura, che in alcune zone diventa monocoltura. La biodiversità nella coltivazione è essenziale per avere terreni sani. Se la terra è sana, il prodotto coltivato necessita di minori trattamenti e pesticidi, che inevitabilmente si ritrovano sulla tavola.
Questa lunga catena di danni a cascata trova come maglia originaria “l’equivoco del fabbisogno alimentare”. L’Associazione dei medici per l’ambiente ne parla in un documento di sintesi, dal quale emerge che la necessità di alte quantità di proteine animali nell’alimentazione non corrisponde ad un bisogno reale, ma indotto. Il consumo di carne in quantità può essere considerato un sintomo di benessere economico, ma non lo è altrettanto per il corpo. Ragionando in termini di interdipendenza uomo-natura, se per ottenere cibo di derivazione animale in ogni pasto il prezzo, salutistico ed ambientalistico, è così alto, forse a conti fatti non è conveniente.
Scavando ancora più a fondo, l’incremento degli allevamenti intensivi non è richiesto dai bisogni alimentari dei consumatori, ma dall’inscalfibile logica del profitto. Non si deve dimenticare che numerosi accordi commerciali tra Europa e Sud America riguardano proprio i finanziamenti per gli allevamenti destinati a diventare carne e finire nelle catene dei supermercati.
L’associazione dei medici ribadisce la necessità di ristrutturare il settore dell’allevamento, abolendo le pratiche intensive, e sostituendole con i metodi biologici. Ma questo suggerimento rimane sospeso, perché mantenendo stabile la domanda di cibi di derivazione animale, l’offerta, se convertita in biologico, non potrà mai soddisfare le richieste dei consumi attuali.
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Modificare la cultura del cibo può essere una soluzione lenta ma necessaria. Se si punta sulla qualità anziché sulla quantità si possono ottenere numerosi vantaggi in termini salutistici ed ambientali.