Il Garante della Privacy fa sapere di aver avviato un’indagine sulle app che sarebbero in grado di carpire informazioni delicate degli utenti attraverso l’autorizzazione ad accedere al microfono degli smartphone
Il Garante della Privacy ha deciso di vederci chiaro su quello che sta succedendo con le cosiddette app rubadati che sfrutterebbero il microfono dello smartphone per raccogliere dati da trasformare in informazioni commerciali.
L’indagine è scattata a seguito di un servizio televisivo e di una serie di segnalazioni da parte di utenti che si sono improvvisamente ritrovati a vedere pubblicità che riguardavano cose di cui avevano parlato vicino allo smartphone. Il problema, a quanto pare, nascerebbe perché molte app ora chiedono di poter avere accesso al microfono nel momento in cui vengono installate.
Succede a tutti: si cerca un’app su uno store e si preme installa senza stare troppo a leggere le varie finestre che si aprono. Ma ce n’è una che invece dovremmo leggere attentamente: la schermata che riguarda le autorizzazioni che l’app chiede di poter avere.
Perché tra queste autorizzazioni ce ne sono alcune, a volte, che dovrebbero farci riflettere sul reale scopo per cui quella app che stiamo installando è stata messa nello store. Se per esempio cerchiamo un’app per dettare la lista della spesa è chiaro che questa app deve avere accesso al microfono per poter registrare e trasformare in testo quello che stiamo dettando.
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Ma se installiamo un’app per modificare le foto non c’è nessun bisogno che questa app abbia accesso al microfono. E invece, ed è questo su cui si sta concentrando l’indagine del Garante per la Privacy, sempre più spesso le app chiedono di avere accesso ad attività apparentemente non importanti o non utili.
Questo accesso potrebbe nascondere a volte la volontà da parte di chi ha costruito l’app di raccogliere poi ciò che viene detto quando ci si trova vicino allo smartphone per poter così trasformare le informazioni raccolte in pubblicità da far apparire come se lo smartphone ci leggesse nel pensiero.
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Questa attività, che si configura chiaramente come un illecito, è quindi ora oggetto dell’istruttoria che l’Authority sta portando avanti insieme al nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza. L’istruttoria prevede l’esame delle app più scaricate e il controllo della chiarezza dell’informativa resa agli utenti.