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Diritti

“Gender data gap”, il mondo dell’informazione parla soltanto al maschile

Nei settori di salute, lavoro e linguaggio il punto di vista è maschile. Numerose ricerche confermano che i modelli femminili hanno funzionamenti molto diversi

(unsplash)

“L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale, ma in relazione a se stesso”Simone De Beauvoir –

Il punto di vista per costruire la società così come la conosciamo è fondamentale per risolvere ed assolvere le esigenze degli individui che la compongono. Ce ne accorgiamo quotidianamente, dalle informazioni mediatiche ed istituzionali che restituiscono una fotografia del presente.

Sempre più numerosi sono gli studi che sottolineano come in realtà, statistiche, test, informazioni sui modelli della società, sono tarati sul genere maschile. Rete contro l’odio ha dedicato un webinar proprio al “Gender data gap”, ovvero la discriminazione di genere a partire dalla discrepanza di informazioni sulle esigenze maschili e femminili.

Per essere più chiari, a parere degli esperti, i settori più coinvolti nei fenomeni discriminanti sono lavoro e salute. Ad esempio, quando si parla di sintomi che avvertono di un infarto in corso, generalmente si annoverano dolore al braccio ed al petto. In realtà questa sintomatologia è funzionante per il genere maschile. Le donne mostrano più frequentemente dolore alla bocca dello stomaco ed alla mascella.

I farmaci sono solitamente tarati su un individuo maschile che pesa 70-80 Kg. A quanto pare anche la medicina ha un genere.

Discorso molto simile quando si parla di lavoro; i ritmi, l’alternanza impegno-riposo e gli le agevolazioni all’individuo, non ultimi gli aumenti di stipendio, sono calibrati sulle esigenze maschili. Le donne, specialmente coloro che coniugano impegni lavorativi e familiari, hanno necessità molto differenti che spesso rimangono nell’ombra.

L’asimmetria informativa tra genere maschile e femminile è il “Gender data gap”.

Le relatrici del webinar “Invisibili. Perché e come gli stereotipi misogini si propagano a partire dal data gender gap e dal linguaggio” mostrano come il modello che crea la discriminazione di genere si può raffigurare come una piramide, dove alla base si trova il linguaggio comune, ed al vertice la violenza ed i femminicidi.

Le parole sono importanti, anche all’interno di una chiacchiera da bar. Contribuiscono a creare abitudini, modelli ed opinioni. Oltre alla consueta declinazione maschile dei termini generici, le espressioni comuni si rifanno quasi interamente al mondo maschile. E questo fenomeno crea una rimozione (volontaria o meno) delle esigenze femminili, che da tempo si sta tentando di risolvere.

Ma non è un’operazione semplice. La lingua parlata è difficile da scardinare, come i termini omofobici o razzisti. Ed è proprio questo il punto di partenza per creare e fomentare degli stereotipi che, se esasperati, portano all’apice della violenza.

Il “Gender data gap” si inserisce nel mezzo della piramide, come livello successivo al linguaggio misogino e prima dei femminicidi.

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Per invertire la rotta che sfocia nei maltrattamenti fisici, si deve partire dalle parole, le uniche sulle quali chiunque può effettuare una scelta. Da quelle si può lavorare su stereotipi di genere e sull’inclusione nel mondo lavorativo e sanitario.

Se il genere femminile non sarà più considerato subordinato, allora anche i discorsi di odio, che fomentano la violenza, perderebbero ragione di essere, ed il femminicidio potrà cambiare nome ed essere relegato tra gli atti di violenza che non hanno a che fare con la sopraffazione dell’uomo sulla donna.

A questo link l’articolo di Rete conto l’Odio

Pubblicato da
Giulia Borraccino