Squid Game. Ormai bastano queste due parole perchè torme di genitori preoccupati saltino sugli scudi. Ma cosa c’è davvero in questa serie coreana disponibile su Netflix?
La risposta più stringata è: una critica feroce alla società che viviamo in cui niente vale più dei soldi che puoi fare a spese del tuo prossimo. Ma pare che questo concetto, molto amato tra l’altro proprio in Corea, è passato in secondo piano se non in terzo di fronte al modo in cui purtroppo molti involontari spettatori si stanno rapportando alla serie.
Perchè basta fare un giro in Rete o parlare con qualche adulto per sentire le parole “Squid Game” e “orrore” a ripetizione. Ma poi quanti si sono presi la briga di guardarla questa serie? Quanti genitori preoccupati e allarmati per i possibili fenomeni di emulazione hanno messo mano al telecomando, spento la tv, e fatto due chiacchiere come si deve su quello di cui parla la serie?
Perchè se prima di salire sugli scudi e chiedere che venga tolta, si dovrebbe sapere che cosa esattamente si vuole togliere. Come quando si parla di videogiochi violenti che istigano all’odio e a investire le vecchiette sulle strisce.
Quanti adulti responsabili di un minore sanno cosa significano i numerelli o le scritte che si trovano nell’angolo in basso a destra o che campeggiano per qualche secondo prima che partano film e serie tv?
E veniamo allora ai contenuti, quelli veri, di Squid Game. La serie coreana è un inno alla disperazione umana e il suo protagonista, Seung Gi-hun, è l’epitome di questa disperazione. I partecipanti agli Squid Game sono costretti a dover sopravvivere a una versione mortale dei giochi che i bambini fanno tra loro e si ritrovano, un mucchietto di poveri disperati, alle prese con la versione assassina di Un Due Tre Stella. E in questa ottica il gioco assume un’altra connotazione: è una tortura umiliante.
Una tortura che, di primo acchito, nessuno sopporta, tanto che i giocatori votano per andarsene e se ne vanno davvero, per poi tornare a giocare perchè è meglio rischiare la morte sognando il successo che ricadere in una vita che non va da nessuna parte.
Questo è Squid Game.
Solo che siccome la serie ha una palette molto infantile e sfrutta le dinamiche dei giochi infantili per portare a compimento la sua tortura psicologica, una fetta incontrollata di pubblico si è concentrata su questo aspetto e, con un effetto valanga, ci siamo trovati ad avere petizioni per bloccare una serie che perfino la piattaforma su cui viene trasmessa vieta ai minori di 14 anni.
Ma perchè ce la stiamo prendendo con Squid Game e non (non ora almeno) con il nuovo GTA o con Call of Duty? Perchè, purtroppo e per fortuna, viviamo in un tempo in cui tutto è a portata di clic e i bambini, spugne senza filtro, toccano e assorbono qualunque cosa senza però poter dividere la forma dal contenuto.
I videogiochi sono un prodotto immensamente più complesso in termini di fruizione mentre la TV può essere usata come sonnifero/balia/compagnia senza neanche guardarla davvero.
Quello che ha fatto montare la polemica contro Squid Game è che le informazioni, non circostanziate e non contestualizzate, diffuse dai piccoli e ignari spettatori di un prodotto palesemente non destinato a loro sono poi state semplificate e distorte come solo i piccoli sanno fare. E la psicosi collettiva ne è l’esempio.
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Cosa c’è che non va allora dentro Squid Game? Niente. Cosa non va nel rapporto di molti genitori con la tecnologia che invece i loro figli sembrano conoscere per intuito? Tutto. Ma è più facile prendersela con Squid Game che non ammettere di non saper neanche cosa fanno i propri figli.