“Le parole sono importanti”, Rete contro l’Odio organizza dei webinar per parlare del linguaggio discriminatorio

Rete contro l’Odio annuncia un ciclo di 4 incontri online aperti. Quanto sono pericolosi i discorsi d’odio?

discorsi d'odio

Guillaume de Germain (unsplash)Ultimamente si è parlato molto dei discorsi d’odio, in concomitanza con il definitivo naufragio del DDL Zan, che è stato strumentalizzato dalla politica e travisato dall’opinione pubblica. Ma perché spaventa tanto parlare di discorsi d’odio? Si teme forse che le emozioni quali rabbia e paura vengano censurate? Se è così è chiaro che i mezzi d’informazione hanno fatto un pessimo lavoro divulgativo.

L’Ordine Degli Avvocati Di Modena, in collaborazione e con il patrocinio della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio, tenta di supplire alla scarsa formazione di pensiero, quando si parla di linguaggio d’odio e di libertà di espressione, attraverso 4 incontri online a cui parteciperanno esperti di diritto, psicologia e linguistica. L’associazione “Rete contro l’Odio” segnala gli incontri in un comunicato stampa del 23 ottobre 2021.

“Verba volant, scripta manent”; antico proverbio che suona più o meno come: “Le parole volano, ciò che è scritto rimane”.

Il detto ha la sua valenza, ma forse sottovaluta la potenza delle parole, e la loro capacità di costruire un universo simbolico collettivo condiviso. Le parole che usiamo, al bar, nelle conversazioni con amici, rinforzano o creano opinioni in modo molto più forte dei contenuti. Questo è dimostrato da studi linguistici ma anche dalla prassi.

Se espressioni linguistiche o barzellette entrano nella lingua comune, chiunque faccia parte di quell’ambito si sentirà legittimato ad utilizzarle senza pensare troppo alle conseguenze. Ed è da questo presupposto che nascono i discorsi d’odio, che sottilmente viaggiano più sull’abuso di etichette sociali che su vere e proprie dissertazioni.

Per essere più chiari, ci è mai capitato di ascoltare con ilarità la parola “frocio”, “negro” o “rabbino” in un contesto pubblico? Immagino di sì, e la battuta, pur se poco gradevole, può risultare innocua, relegata ad un contesto di ironia proprio del popolo italico. E se fossimo stati noi, o i nostri accompagnatori, ad essere “froci”, “negri” o “rabbini”?

Non è di questa sede l’intenzione di fare lezioni di etica o di politically correct, ma solo di portare una semplice riflessione. I discorsi di odio sembrano lontani dalla quotidianità dei benpensanti, ma in realtà non lo sono. Le parole basate su stereotipi discriminatori sono la base su cui si innalza la piramide dell’odio, che sfocia in violenza, uccisioni e genocidi.

Sono proprio le parole a legittimare i comportamenti, e pensare che siano innocue è un’ingenuità. Tutti noi viviamo in un mondo relazionale, ed il modo in cui contribuiamo a creare una cultura collettiva passa attraverso la comunicazione.

Il DDL Zan in fondo non era altro che un intento di penalizzare non la libertà di espressione, ma quelle parole prerogative ad alimentare l’odio razziale ed omofobo, cosa che sembrerebbe superflua nella contemporaneità, ma che la prassi testimonia come necessaria. Ed anche questo è fallito.

Leggi anche: “La famiglia uccide più della criminalità”, il report di osservatorio diritti sulla violenza di genere in Italia

Leggi anche: Cybercondria, attenzione alle diagnosi del Dr Google

La cosa più grave è che si è travisato il motore della legge, ed abusato del termine libertà, che peraltro in pochi sanno realmente cosa significhi. E così, nella ricerca della “libertà” a tutti i costi, rimaniamo prigionieri degli stereotipi a cui noi stessi apparteniamo.

A questo link il comunicato di “Rete contro l’odio”

Gestione cookie