Conserve di pomodoro, il “made in Italy” è di provenienza cinese

Da una inchiesta condotta da Irpimedia e CBC Canada viene fuori una rete di aziende italiane che si riforniscono di pomodoro cinese proveniente dalla regione dello Xinjiang, in cui alla discutibile produzione della materia prima rossa si lega una forma massiccia di repressione

Foto Engin Akyurt Unsplash

Quante volte abbiamo letto sulle confezioni di svariati tipi e formati di conserve di pomodoro “prodotto italiano”? E quante volte siamo stati più propensi ad acquistare un prodotto con questa dicitura?

Ma se i consumatori italiani possono essere sufficientemente sicuri di ciò che arriva in Italia, non altrettanto tranquilli possiamo stare scoprendo che buona parte degli stessi produttori del pomodoro concentrato che compriamo destinano ad altri mercati prodotti confezionati a partire da materie prime che sono in realtà il risultato di una forma estrema e sistematizzata di sfruttamento e annientamento.

Un’inchiesta portata avanti da Irpimedia e CBC Canada è riuscita a ritrovare tutti i fili che collegano le aziende italiane, tra le più grandi aziende italiane sottolineiamo, ad alcuni produttori di pomodoro cinese che operano nella regione dello Xinjiang dove il governo di Pechino porta avanti da tempo forme di sfruttamento e annientamento della minoranza degli uiguri.

Da questa inchiesta emerge che nel 2020 in Italia è arrivato circa al 11% del prodotto esportato dalla Cina: oltre 97mila tonnellate di pomodoro concentrato. A questo dato se ne lega un altro che ci parla di come durante il corso del 2021 nei porti di Salerno e Napoli siano arrivate e stiano arrivando quotidianamente navi cariche di concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina.

Nei campi dello Xinjiang la minoranza uiguri viene costretta a lavorare nei campi in condizioni disumane. Tutto questo viene però coperto dalla dicitura “lavoro volontario” ma, come raccontato da chi è riuscito a fuggire dallo Xinjiang, di volontario non c’è niente. I membri della minoranza uiguri, che da tempo il governo di Pechino cerca di eliminare in qualunque modo, che si rifiutano di lavorare nei campi di pomodoro vengono da prima multati e poi gli viene resa la vita impossibile fino ad arrivare all’arresto.

La minoranza uiguri, la cui unica colpa è probabilmente quella di essere di religione musulmana, viene dispersa o costretta a lavorare, e molto spesso proprio nei campi che producono i pomodori da cui proviene il concentrato che dalla Cina arriva in Italia. Ma, una volta che arriva in Italia, a chi è destinato questo concentrato di pomodoro? A grandi, grandissimi nomi: due su tutti Petti e Giaguaro.

Abbiamo già parlato di come i pomodori Petti si siano ritrovati al centro di uno scandalo derivante dall’utilizzo di pomodoro cinese spacciato per italiano. Parlando del pomodoro dello Xinjiang, in realtà i rappresentanti di Petti sottolineano come il concentrato di pomodoro cinese non venga utilizzato per il doppio concentrato venduto in Italia e di come anche le quantità di pomodoro concentrato sottoposte a sequestro siano poi state in pratica tutte restituite. Ma il rapporto con lo Xinjiang resta.

Tra le altre società con legami con la produzione di pomodoro concentrato dello Xinjiang c’è anche Attianese che, come Petti, respinge al mittente le accuse di vendere in Italia prodotto cinese e anzi Pasquale Attianese dichiara addirittura di non sapere specificatamente da dove provenga il pomodoro che gli arriva dal Trader.

Giaguaro è un’altra società che si trova in Campania e si occupa di confezionare pomodoro per il mercato della grande distribuzione, in particolare dei colossi tedeschi Lidl e Aldi. Anche Giaguaro si rifornisce spesso di grandi quantità di pomodoro concentrato prodotto in Cina.

Ma se possiamo essere sufficientemente sicuri riguardo la provenienza del pomodoro che viene utilizzato per i prodotti venduti in Italia, questo non può farci chiudere gli occhi e avallare scelte che i produttori fanno solo perché il risultato finale di queste scelte non finisce sui nostri scaffali.

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Il fatto che aziende italiane abbiano un legame con società cinesi che portano avanti lo sfruttamento e l’annientamento psicologico e fisico deve essere una discriminante nella scelta di ciò che mettiamo nel carrello. I diritti umani sono diritti umani ovunque.

A questo link l’indagine di Irpimedia

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