Il 4 novembre scorso l’incontro online ha permesso ad alcuni adolescenti di confrontarsi con altri coetanei ed avanzare richieste alle istituzioni
La salute mentale è un tema dibattuto nella società civile e troppo ignorato dalle istituzioni. A parte le statistiche che vengono tirate fuori ogni anno, i servizi di prevenzione ai disturbi mentali e psicologici sono pressoché assenti nel servizio pubblico nazionale. L’offerta di cure gratuite pubbliche servono a malapena a coprire i casi già acclarati e gravi, per cui poco spazio resta alla prevenzione, necessaria specialmente per i più giovani.
Una ricerca Unicef riporta che sono circa 9 milioni gli adolescenti che soffrono di un disturbo mentale in Europa. Tradotto in percentuali, in Italia si parla del coinvolgimento del 16,6% dei giovani tra i 10 e 19 anni, ambo i sessi.
Questi numeri vanno presi in considerazione tenendo presente che esiste un gran numero di dati sommersi, ovvero di disturbi non diagnosticati. La causa si può ritrovare in un doppio canale. Da una parte le strutture inefficienti, e dall’altra lo stigma sociale che ancora grava sui temi di salute mentale.
La vergogna è una delle prime sensazioni che assale un adolescente che si trova a vivere delle difficoltà psicologiche, legate o meno a fatti della vita. Molti genitori, dal canto loro, spesso preferiscono voltarsi dall’altra parte e circoscrivere le difficoltà di un ragazzo alle “stranezze legate all’età adolescenziale”, quando invece il mondo interiore del giovane manifesta una grande sofferenza psichica.
Ed è proprio a questo tema che è stato dedicato l’Activate Talk del 4 novembre scorso, organizzato da UNICEF all’interno di un ciclo più ampio di incontri che mettono al centro la voce degli adolescenti.
Questo format è stato pensato per far parlare i giovani del loro disagio mentale, e l’appuntamento del 4 novembre porta l’esplicito titolo “Il mondo dentro di me”. Il progetto intende mettere a confronto i ragazzi con istituzioni, organizzazioni della società civile e settore privato.
Quando si parla di salute mentale è bene considerare l’anno di pandemia e le difficoltà psicologiche ad esso correlate. Ma non si deve assolutamente ridurre tutto a questo. Imputare esclusivamente la pandemia è un altro modo per rinforzare lo stigma sociale, spostando la responsabilità del malessere psicologico su un fattore esteriore anziché interiore.
Tutti noi ci portiamo dietro, volenti o nolenti, dei pregiudizi e delle categorie di valutazione pregresse. Proprio per questo la società, nella sua rappresentazione pubblica, dovrebbe aiutare l’individuo a liberarsi dalla macchia della vergogna.
I giovani che hanno partecipato al progetto Unicef hanno fatto proprio questo: un “outing” sul disagio psicologico per “normalizzare” la questione e spingere altri coetanei ad aprirsi serenamente. La sensazione di non essere soli aiuta ad affrontare la sofferenza.
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I primi interventi dovrebbero arrivare dai settori della salute pubblica, che lanciano gli allarmi ma poi non fanno molto per avviare dei programmi di cura. Fortunatamente la società civile, o almeno la parte che si rimbocca le maniche per attivarsi in senso positivo, riesce talvolta a supplire alle mancanze istituzionali.
A questo link il comunicato Unicef del 4 novembre 2021