Sul tetto della sede di Roma della FAO si passa dalle parole ai fatti con il primo bio orto, definito come un laboratorio agro-ecologico
Il bio orto inaugurato a Roma potrebbe essere una soluzione al problema di conciliare il bisogno di cibo di una popolazione che cresce a ritmo sostenuto con il fatto, meramente fisico, che lo spazio sul nostro pianeta non è infinito.
Il progetto, inaugurato alla presenza del direttore generale della FAO Qu Dongyu e del vicedirettore Maurizio Martina è stato realizzato da NaturaSì, Università La Sapienza – Orto botanico di Roma, la startup Ecobubble e Slow Food in qualità di membri della Mountain Partnership. Lo scopo, come si legge anche nel comunicato è quello di “esplorare la possibilità di replicare giardini pensili biologici dove il suolo è scarso o poco produttivo per alleviare la carenza di cibo nei sistemi più fragili come le montagne e le zone urbane“.
Nel bio orto della FAO hanno per ora trovato posto, tra le varie colture: il peperoncino Papecchia, il cavolfiore violetto catanese, la cicoria catalogna di Brindisi, il sedano nostrale di Francavilla Fontana e il peperone Sweet Julie.
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Un prototipo quindi che, questa è la speranza espressa anche da Fausto Jori Amministratore Delegato di NaturaSì, può essere replicato “in altre realtà per promuovere un’agricoltura capace di dare ossigeno e cibo sano anche in contesti urbani dove il suolo è scarso, contesti a cui l’agroecologia può contribuire anche donando bellezza“.
Cibo, salute e bellezza. Questi i tre concetti che il bio orto porta avanti. Cibo, salute e bellezza. Tre concetti che a volte dimentichiamo possono viaggiare insieme anche in uno spazio piccolo come un tetto. Quello dell’orto della FAO è sicuramente un progetto tecnologicamente avanzato ma, anche senza strumenti all’avanguardia, su qualunque balcone o finestra possiamo creare una piccola oasi. E tante piccole oasi possono cambiare un deserto.