Il Governo ha dato il via libera alle misure di prevenzione per la violenza contro le donne, ma i centri antiviolenza segnalano una parziale inadeguatezza del testo
Sarebbe ovvio procedere alla definizione delle norme preventive sulla violenza di genere coinvolgendo chi, in prima persona, lotta quotidianamente ed osserva i fenomeni di soprusi ai danni delle donne. Ed invece no.
Le nuove disposizioni governative contro la violenza sulle donne sono concentrate più su una pletora di penalizzazioni che su una prevenzione integrata del fenomeno. D.i.Re, rete di associazioni contro la violenza di genere, denuncia la scarsa attinenza alle necessità di contrasto del fenomeno che il Ddl, da pochi giorni operativo, mette in campo.
“Comprendiamo il tentativo del governo di porre un argine alla conta dei femminicidi, considerato che è stato ampiamente dimostrato che troppo spesso questi avvengono perché le donne non sono state adeguatamente protette dopo aver denunciato i maltrattamenti subiti. Ma ancora una volta notiamo che il governo procede senza minimamente consultare i centri antiviolenza, nonostante da decenni accompagnino migliaia di donne fuori dalla violenza e nonostante tale consultazione sia stata prevista nel nuovo Piano nazionale antiviolenza”.
Così Antonella Veltri, presidentessa dell’associazione, commenta il Ddl “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica“, in un comunicato stampa del 3 dicembre, mettendone in luce i punti deboli ad un’efficacie azione preventiva.
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A parere dell’associazione, il testo contiene norme di tipo procedurale, penale ed amministrativo, che viaggiano sull’emergenza anziché sulla prevenzione. A destare preoccupazione è anche l’ammonimento per il reato di violenza sessuale, in conseguenza al quale, la penalizzazione grave avviene in seguito a recidiva del fenomeno.
Come se un caso singolo di stupro non sia sufficiente a far scattare l’imputazione seria, e ci sia bisogno che il crimine venga reiterato per essere confermato. Se i centri antiviolenza, che sono i primi a conoscere i dettagli del fenomeno criminoso, con la collaborazione di operatori, psicologi, avvocati (e tante altre figure professionali) non vengono coinvolti in prima persona, la legge rischia di rimanere una scrittura vuota di significato.
Conclude Veltri: “Continua a riproporsi un approccio di tipo emergenziale, che porta a un proliferare di norme penali, ma sappiamo bene quanto poi la loro effettiva applicazione sia a discrezione del singolo magistrato, e anche quanto sia la cultura di chi deve applicarle a condizionarne l’efficacia. Tutte le norme esistenti andrebbero applicate alla luce della Convenzione di Istanbul, anch’essa legge dello stato dal 2014, cosa che ancora non avviene”.