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Gli scienziati italiani scrivono a Mattarella e Draghi: “Lo stoccaggio e l’uso della CO2 non risolve i problemi”

Con una lunga lettera, un nutrito gruppo di scienziati si è rivolto al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, parlando del cosiddetto CCS: Carbon Capture Use and Storage

Foto Jasmin Sessler Unsplash

La lettera tocca in cinque punti i motivi per cui avallare il progetto di ENI sarebbe un errore e non aiuterebbe in alcun modo a contrastare l’inquinamento.

Nel testo, gli scienziati, tra cui ricordiamo solo per dare una idea della caratura di questo pensiero Enrico Brugnoli, CNR Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri, in atto Addetto Scientifico presso l’Ambasciata d’Italia a Mosca, e Micol Todesco, Geologa presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Bologna, prendono spunto da quanto riportato da alcune testate secondo cui “i 150 mln di euro indicati all’art. 153 della legge di Bilancio 2022” potrebbero finire ad ENI per finanziare il suo maxi deposito di CO2.

E ci si chiede: “L’uso e lo stoccaggio della CO2 (il cosiddetto CCUS, CarbonCapture Use and Storage) è realmente una tecnologia socialmente accettabile?“. La risposta, riassumendo il testo della lettera, è: no.

E nel testo si legge infatti: “Se vogliamo proteggere e salvare l’umanità e il pianeta e invertire decisamente la rotta dell’attuale surriscaldamento globale provocato dai gas climalteranti c’è una sola strada percorribile: diminuire drasticamente e con urgenza l’uso dei combustibili fossili”.

Il CCUS“, prosegue la lettera “per produrre idrogeno da metano è una tecnologia che anziché contribuire a risolvere il problema lo rende più grave. Dobbiamo, e nella lettera si cita anche Von Der Leyen riguardo gli obiettivi europei, diventare una economia decarbonizzata non una economia che nasconde la CO2 e continua a inquinare come niente fosse.

Tra i motivi per cui il sistema del CCUS non va avallato nè sovvenzionato c’è innanzitutto il fatto che “i costi “esterni” delle attività petrolifere (sia upstream sia downstream) sono ampiamente pagati dalla collettività in termini di decessi, maggiore spesa sanitaria, perdite di raccolti e di giornate di lavoro, perdita di P.I.L., ecc. ecc., causati dal cambiamento climatico”. E non è quindi giusto che a pagare di nuovo siano i cittadini.

In secondo luogo, le iniezioni di CO2 possono essere tranquillamente usate nei giacimenti esauriti o quasi esauriti per spingere fuori ed estrarre quello che resta nei giacimenti. Così facendo può essere estratto fino al 40% dell’olio residuo rimasto in un giacimento dopo la produzione primaria“.

Terzo punto: “La cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 sono parte di un processo circolare che vede al suo centro la produzione di idrogeno da fonti fossili (idrogeno blu). (…) Finanziare il CCUS significherebbe dunque dare la stura alla produzione di idrogeno blu e, di conseguenza, all’estrazione ed al consumo di gas in un orizzonte temporale che si spinge fino al 2050, ben oltre, quindi, il punto di non ritorno. Sono questi i tempi di una transizione sostenibile? Anche questo è socialmente accettabile?

C’è poi la questione del ripristino ambientale: usando i giacimenti come parcheggio della CO2 non occorrerà spendere per questo genere di attività che sono invece obbligatorie. Da ultimo: “Eni sa perfettamente, e non da ieri, che il CCUS costituisce un’arma formidabile per sviluppare un nuovo mercato, con potenzialità e profittabilità come pochi altri”.

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Un’occasione a danno di una serie di altri sistemi davvero green e davvero in grado di abbattere la nostra produzione di CO2. E infatti la lettera si conclude così: “In un Paese in cui la partita energetica la giocano in pochi (Eni, Snam, Terna ed Enel), con il placet di Governo, Parlamento, ARERA, Autorità per la concorrenza e Cassa Depositi e Prestiti; in cui il mancato insediamento della Commissione PniecPnrr sta causando gravi ritardi nel processo di autorizzazione di centrali solari con potenza maggiore di 10 MW; in cui Stato e Regioni non riescono a trovare la quadra sul permitting di impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile; in cui appare sempre più inverosimile raggiungere l’obiettivo, tanto caro al Ministro Cingolani, di 114 gigawatt rinnovabili al 2030, il CCUS si candida ad essere una comoda scorciatoia (in attesa del nucleare, ovviamente!) e rischia di compromettere seriamente un serio percorso di decarbonizzazione del sistema di produzione e consumo che dovrebbe avere invece nella razionalizzazione/taglio selettivo dei consumi energetici, nella ricerca dell’efficienza e nella crescita della generazione distribuita i pilastri di un modello energetico realmente sostenibile“.

Pubblicato da
Valeria Poropat