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L’Italia rischia di rimanere indietro nella transizione verde, l’allarme del Think Tank ECCO

Secondo i dati raccolti ed elaborati da ECCO, Think Tank indipendente che si occupa proprio di clima ed energia in Italia, il nostro Paese rischia di bucare in modo clamoroso gli impegni che ci siamo dati come Comunità Europea

Foto Pixabay

Nello specifico, secondo lo studio fatto da ECCO, l’Italia rischia di rimanere indietro per mancanza delle cosiddette “Banche del clima” o NPB, che sono un elemento fondamentale dell’architettura finanziaria del Green Deal europeo. Per raggiungere gli obiettivi della transizione verde propri del Green Deal europeo e quindi gestire i famosi fondi del PNRR occorre, questo è in buona sostanza l’allarme lanciato dal Think Tank, che questi fondi vengano gestiti in maniera focalizzata proprio per raggiungere la decarbonizzazione e la riduzione delle emissioni dei cosiddetti gas serra.

Fondi che per l’Italia si sono concretizzati in 205 miliardi di euro che possiamo spendere tra il 2021 e fino al 2026 e che vanno quindi incanalati nei progetti giusti. In altri Paesi si stanno già muovendo le banche pubbliche, che si stanno lentamente trasformando proprio in banche del clima.

Essere una banca del clima in sostanza significa che progressivamente tutti gli investimenti e i flussi di prestito vengono indirizzati su progetti che possano permettere il raggiungimento degli obiettivi climatici del famoso Accordo di Parigi. E le banche del clima avranno anche il compito di gestire i finanziamenti privati che l’Unione Europea prevede come contributo al Green Deal.

Come si legge nel report, “Il quadro generale del PNRR, almeno dal lato delle risorse finanziarie, è imponente e molto articolato, ma purtroppo appare privo di un organica focalizzazione strategica su obiettivi di decarbonizzazione e di adattamento ai cambiamenti climatici: ad un’analisi più granulare dei singoli progetti, l’efficacia complessiva del Piano con riferimento alla transizione climatica appare infatti incerta e molto spesso inadeguata“.

Quella che manca, continua il report, è quindi l’indicazione diretta del collegamento tra progetti e obiettivi di impatto climatico che non può quindi produrre “alcuna valutazione analitica sulla congruità quantitativa degli interventi programmati rispetto agli obiettivi europei neutralità climatica“.

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Siamo di nuovo di fronte a un progetto maestoso che potrebbe trasformarci in vera locomotiva del cambiamento in Europa ma, senza il coraggio necessario di mettere nero su bianco quanto e come i progetti riescono a influire positivamente sull’inquinamento che produciamo, rischiamo in buona sostanza di perdere la sfida con il clima.

Tutto questo nonostante abbiamo firmato anche l’Accordo di Parigi in cui si fa chiaro riferimento ai flussi di denaro: “Rendendo i flussi finanziari coerenti con il percorso verso la riduzione delle emissioni di gas serra e verso uno sviluppo resiliente al clima“.

Per capire meglio cosa significa essere Banca del Clima riportiamo la definizione che ne dà proprio ECCO: “Una “banca del clima” è un investitore paziente “di prima istanza”, che dischiude nuovi spazi di mercato anche per il settore privato“.
E nello specifico si tratta di una istituzione che deve essere :

  • mission-oriented”, cioè focalizzata su obiettivi di lungo periodo specifici, allineati con le priorità strategiche del Paese;
  • che adotta criteri e metodi di selezione degli investimenti e dei progetti coerenti con la propria missione;
  • che è focalizzata sugli impatti finali della propria attività“.

Nel report si fanno diversi esempi di banche che hanno già avviato questo genere di trasformazione interna in Germania, in Francia, nel Regno Unito. Occorre che in questa lista entri anche almeno un istituto bancario italiano o rischiamo di far perdere al nostro Paese quella che è forse davvero la partita della vita.

Pubblicato da
Valeria Poropat