L’influenza aviaria sta colpendo alcune zone delle province di Mantova, Verona e Padova con in più qualche focolaio in Lombardia ed Emilia Romagna. In tutta Europa si riscontrano focolai ma secondo le rilevazioni l’Italia è al momento il Paese più colpito
In totale siamo arrivati a 13 milioni tra galline, polli, quaglie, anatre, fagiani e tacchini che sono stati eliminati per evitare l’ulteriore diffusione dei virus tra cui A(H5) e A(H7N9). Si preme sottolineare come si tratti di virus che molto raramente colpiscono l’uomo e nella maggior parte dei casi si manifestano con forme di congiuntivite che guariscono spontaneamente nel giro di qualche giorno.
Più grave può risultare la sintomatologia di chi è stato esposto in maniera prolungata o diretta a sangue o altri tessuti animali infetti non sottoposti a trattamento termico o ad animali vivi e loro escrementi.
L’eliminazione dei capi risulta necessaria per evitare che i virus prolifichino. Anche perché si tratta di virus in grado di viaggiare anche per decine di chilometri e l’altro e, secondo alcune ipotesi, addirittura nella polvere mossa dal vento da un allevamento all’altro. Si tratta di un problema sostanzialmente economico per gli allevatori, che si vedono costretti ad abbattere migliaia di esemplari.
E infatti è già partita una richiesta condivisa da Confagricoltura perché arrivino ristori e indennizzi per gli allevatori colpiti. “L’attivazione delle procedure per i ristori dei ‘danni diretti’ (tramite il ministero della Salute) e dei ‘danni indiretti’ (gestita dal Mipaaf, con risorse europee autorizzate dai Bruxelles) alle aziende avicole è senz’altro una notizia positiva e auspichiamo di dare un contributo in tal senso. La situazione è drammatica e richiede interventi congrui e rapidi”, ha dichiarato il presidente della Federazione nazionale di prodotto dell’Avicoltura di Confagricoltura, Simone Menesello.
Leggi anche: Dietro la PAC si nasconde una gigantesca eco-truffa, la denuncia di CambiamoAgricoltura
Leggi anche: Anche i bambini sono consumatori compulsivi, il fenomeno si chiama Nag Factor
La situazione dell’influenza aviaria negli allevamenti italiani ed europei deve però anche farci riflettere sul modo in cui ancora moltissimi allevatori gestiscono i propri animali. Allevamenti intensivi, in cui gli animali vivono in pratica gli uni sugli altri camminando tra i liquami e respirando le proprie feci, luoghi ideali per un virus già di per sé estremamente contagioso e che si moltiplica a dismisura.
Un allevamento estensivo e che tenga conto maggiormente del benessere degli animali può anche in parte sicuramente mitigare le conseguenze dei focolai di influenza aviaria e delle altre malattie specifiche degli animali d’allevamento.