Rincaro alimenti, Coldiretti: “Bisogna fronteggiare l’aumento dei prezzi ma l’anello debole non devono diventare gli agricoltori”

Il rischio è che in un’economia così compartita a fare le spese del rincaro dei prezzi degli alimenti siano gli agricoltori, che a volte sono pagati al di sotto dei costi di produzione

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Gabriel Jimenez Jin (unsplash)

Chiunque può ricordare la filastrocca per bambini “per fare tavolo….”. Al di fuori della cantilena, la canzoncina esprime un concetto che non è così immediato nell’economia consumistica attuale: ogni volta che si acquista un prodotto è bene chiedersi da dove viene e quali sono i passaggi che lo hanno portato sulla nostra tavola.

Questo, in sintesi, è il concetto della filiera alimentare, che sì, più è lunga e più permette a chiunque di poter mangiare fragole fuori stagione o frutti esotici importati. Ma come tutti i processi forzati ha il lato negativo della medaglia. Ed in alcuni momenti è più facile che venga a galla. Come questo.

La pandemia, la crisi economica, etc. hanno fatto saltare alcuni meccanismi, che al momento non sono più sostenibili. Per cominciare, chiunque può osservare in prima persona quanto i prezzi degli alimenti siano cresciuti. Da un articolo di Agronotizie si apprendono le stime della Fao: rispetto allo scorso anno, a novembre 2021, si segna un +27,3% di aumento del prezzo degli alimenti al livello globale.

Nello specifico, a trainare il caro prezzi è stata la produzione di cereali, con un aumento del 23,3%, seguiti dai lattiero caseari con +19%, dallo zucchero con +40% e dai grassi vegetali che registrano un significativo +51,4%. Dove si possono ritrovare le cause di queste ingenti crescite di prezzi? E qui torniamo alla canzoncina da cui siamo partiti, “per fare un tavolo…”, cioè alle materie prime che provengono direttamente dall’agricoltura, dalla terra, letteralmente sconvolta dai cambiamenti climatici e dall’emergenza sanitaria.

Come riporta l’articolo di Agronotizie, parafrasando delle dichiarazioni di Coldiretti, “a un calo di produzione per eventi meteorologici inaspettati o gravosi, alle limitazioni all’operatività dettate dalla pandemia da covid-19, alla successiva ripresa e alla conseguente maggiore richiesta di alimenti, si sono agganciate dinamiche di accaparramento e speculazione. Le prime attivate dai singoli Stati preoccupati di aumentare lo stoccaggio di materie prime per garantire l’alimentazione dei propri abitanti, le seconde poste in essere da attori finanziari spesso spregiudicati”.

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Ed il rischio è che sia proprio chi coltiva la terra a farne le spese maggiori. In fondo, senza filiera alimentare, cioè tornando ad un modello il più possibile vicino al Km 0, si può ugualmente provvedere ad acquistare alimenti, anche se non variegati come nei supermercati. Ma senza la produzione, prima maglia della catena alimentare no. Ed invece il pericolo è che per fronteggiare il caro prezzi, dato che quando la coperta è troppo corta qualcuno rimane scoperto, siano proprio i produttori ad essere danneggiati. Le multinazionali del settore alimentare per fronteggiare il caro prezzi hanno la soluzione bella e pronta: pagare le materie prime al di sotto dei costi di produzione.

E non ci sono finanziamenti statali che reggano. Il lavoro deve essere pagato il giusto, le materie prime devono essere pagate per quel che valgono. Magari per tagliare i costi si potrebbe pensare a ridurre altre spese meno necessarie che riguardano i passaggi mediani della filiera alimentare.

E si conclude da dove si era partiti; alla fine per fare un tavolo, o una pietanza, ci vuole la terra e ci vuole il lavoro di chi la tratta con il dovuto rispetto. E questo lavoro deve essere remunerato equamente, lontano dalla retorica del contadino semplice da cui si può spuntare il prezzo migliore.

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