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Diritti

Il diritto a manifestare mortificato dall’emergenza sanitaria, l’editoriale di Altreconomia

Con l’alibi della pandemia la classe politica italiana sta sempre più minando il diritto a manifestare, e con esso, il diritto ad esprimere il dissenso

Clay Banks (unsplash)

“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Così recita, o forse recitava, l’Art. 17 della Costituzione, che sempre più, a fronte di una disaggregazione in versione individualistica della società, si sta sgretolando.

Il diritto a manifestare, o più estesamente, il diritto ad esprimere il dissenso, si sta frantumando in nome di esigenze “superiori”, quale quello del controllo pubblico, o della sicurezza. E la pandemia, come altre emergenze in passato, è un ottimo alibi per aggirare l’articolo 17. In un editoriale di Livio Pepino, pubblicato su Altreconomia, vengono descritte passo passo le strategie politiche per ridurre, o forse eliminare, con il consenso generale, il diritto a manifestare.

Dopo un excursus molto puntuale sui precedenti storici, l’editoriale analizza la direttiva che il Ministro dell’Interno Lamorgese ha emesso il 10 novembre scorso, ed in conseguenza alla quale si è accelerato il processo di frantumazione del diritto al dissenso.

La direttiva sopracitata si propone l’obiettivo di disciplinare “lo svolgimento di manifestazioni di protesta contro le misure sanitarie in atto”. Ma il contrasto all’emergenza sanitaria rimane relegato al titolo. A ben guardare il testo, come riporta Pepino, “non c’è alcuna indicazione sulla necessità che i manifestanti indossino dispositivi di protezione o mantengano l’opportuno distanziamento“.

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La cosa probabilmente più rilevante è che la direttiva attribuisce la facoltà ai prefetti di vietare le manifestazioni nelle aree urbane “di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità”, che, traducendo (come di seguito è emerso dal dibattito pubblico), significa semplicemente salvaguardare lo shopping prenatalizio. Possibile che si è arrivati al punto che gli acquisti di Natale abbiano assunto valore maggiore della possibilità di esprime in maniera organizzata le proprie opinioni?

La risposta rimane a discrezione personale, ma ciò che emerge con chiarezza è che le direttive del Ministro poco hanno a che fare con la salute pubblica, dato che gli assembramenti pre-natalizi si stanno pagando a caro prezzo, con il bene placido di tutti.

Questa contraddizione porta con sé una conseguenza evidente: a quanto pare la pandemia, come altre situazione emergenziali, è strumentalizzata dalla classe politica per irrigidire maggiormente il sistema democratico, ed utilizzata come alibi per eliminare ciò che è considerato “fastidioso ed ingestibile”, ovvero il dissenso, che invece della democrazia non è nemico, ma strumento di garanzia.

Pubblicato da
Giulia Borraccino