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Alimentazione

La conversione etica di Mc Donald’s è solo una facciata, lo svela uno studio USA

Anche se tenta di assumere la veste green e salutista, Mc Donald’s nelle campagne pubblicitarie social mostra la sua vera faccia. Uno studio ha dimostrato che le strategie di marketing più aggressive sono rivolte ai Paesi a basso reddito ed ai bambini

Brett Jordan (unaplash)

Mc Donald’s negli ultimi anni ha tentato di cambiare il suo abituale colore rosso per convertirlo nel verde del “green”, cavalcando l’onda della sostenibilità ecologica millantata dalle multinazionali, che coinvolge uno strato molto superficiale del processo produttivo. Non basta infatti utilizzare cannucce di plastica riciclabile per assumere la veste del benefattore. I principi virtuosi che portano avanti le lotte ambientaliste sono a largo raggio, e coinvolgono anche lo sfruttamento del lavoro ed il rispetto di taluni principi etici.

Come ad esempio quello di non mettere in cima alla lista dei “valori” il profitto a tutti i costi, inserendosi in qualunque pertugio di vulnerabilità per aumentare le vendite. Ed invece è proprio questo che Mc Donald’s sta facendo per incrementare le vendite. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di New York, pubblicato sulla rivista BMJ Nutrition Prevention & Health, ha analizzato i post Instagram di Mc Donald’s, prendendo in considerazione le differenti distribuzioni geografiche e i riferimenti a fasce di età differenti.

Per sintetizzare, dalla ricerca è emerso che la multinazionale del fast food indirizza una strategia di marketing più aggressiva nei Paesi a basso reddito e nei messaggi rivolti ai minori. Questo palesa una direzione che sfrutta la vulnerabilità altrui a proprio vantaggio. Ad esempio, nei Paesi ad alto reddito appare il 5% dei post che esaltano i vantaggi di una dieta sana, mentre nei Paesi a basso reddito la percentuale scende al 2,5%.

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Dalle analisi, come riportato in un articolo de “Il Fatto alimentare”, emerge che nei Paesi a basso reddito, “i post di marketing sono stati il 154% in più rispetto a quelli dei Paesi più ricchi, con una media, rispettivamente, di 108 post contro 43, nei quattro mesi di monitoraggio. Inoltre, nei tre Paesi poveri studiati sono stati osservati più post di tutti gli altri”.

Evidentemente, nonostante gli sforzi riconosciuti dei nutrizionisti, non è ancora passata alle multinazionali come Mc Donald’s l’idea che il consumo di cibo fast food è deleterio sotto molti aspetti, e che deve essere ridotto. In prima battuta è dannoso per il fisico, data l’alta percentuale di grassi saturi e zuccheri raffinati.

In secondo luogo il sistema fast food così come Mc Donald’s lo ha progettato, non è sostenibile se non incentivando gli allevamenti intensivi, responsabili in alcune aree del mondo di crimini contro l’ambiente ed i diritti umani. Ma pare che al momento di allontanarsi dalla facciata e di trattare la sostanza le multinazionali non ne vogliano sapere e continuino imperterrite a seguire l’unico bene che riescono a vedere, quello individuale.

Pubblicato da
Giulia Borraccino