Le multinazionali che sfruttano le sorgenti italiane corrispondono un canone bassissimo alle Regioni, sottraendo importanti risorse per la riqualificazione degli impianti idrici
“Acqua bene comune“: uno slogan che una decina d’anni fa ha avuto un importante significato per un referendum che ha portato una ventata di primavera alla collettività italiana. Il referendum ha sancito ancora una volta come i cittadini vogliano mantenere l’acqua un bene comune. Ma il mercato italiano delle acque minerali imbottigliate da sorgenti pubbliche si allontana da questo presupposto e mostra tutte le sue anomalie.
Da più parti in quest’ultimo decennio si è messo in luce come le multinazionali pagassero alle Regioni cifre irrisorie per le acque emunte ed imbottigliate in Italia. Altreconomia ha confermato questo trend con un’inchiesta che ha esaminato dati relativi al 2020. Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente commenta: “Un litro d’acqua viene pagato dalle aziende nell’ordine dei millesimi di euro. Una cifra quasi virtuale”.
Altreconomia ha avuto accesso parziale alle cifre delle aziende di acqua in bottiglia, perché, e questa è l’opposizione dichiarata, pubblicare il prezzo di costo e di vendita al pubblico dell’acqua “potrebbe essere usato dai “concorrenti” per conoscere informazioni riservate e sensibili con il rischio di alterare la libera concorrenza“.
Nonostante ciò, dai numeri si evince come le cifre corrisposte per l’acqua pubblica che viene imbottigliata siano troppo basse. Ogni Regione applica delle tariffe a sé, ma di base i parametri per stabilire il prezzo sono due: un canone relativo alla superficie di territorio dato in concessione e uno commisurato alla quantità d’acqua emunta o imbottigliata.
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La Conferenza Stato-Regioni del 2006 ha invitato gli enti locali ad applicare tariffe secondo entrambi i fattori, ma ad esempio in Sardegna e Puglia il canone si paga solo in base al territorio utilizzato. Ora, per necessità di brevità non si passeranno in rassegna tutte le singole politiche regionali, ma basti sapere che le aziende che ad esempio operano in Umbria, hanno pagato mediamente 0,0011 euro al litro. Ed è uno dei prezzi più alti. I canoni più bassi vengono corrisposti 0,0003 euro al litro emunto/imbottigliato, in Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna.
Con accordi economicamente migliori le Regioni potrebbero investire maggiormente nell’efficientamento degli acquedotti pubblici, facendo così tornare in qualche modo lo sfruttamento idrico ad un vantaggio per la collettività.
Ma la società civile, per poter avanzare richieste, deve conoscere quali siano i prezzi attuali e quanto pagano realmente le aziende. Alle società che non divulgano le proprie cifre, giustificando la segretezza con il principio della libera concorrenza Andrea Minutolo replica: “Stiamo parlando di soggetti privati che hanno in gestione un bene pubblico. La trasparenza sulla gestione è fondamentale e i cittadini hanno il diritto di avere informazioni chiare. Non ci sono brevetti da tutelare e l’importo del canone è determinato dalla quantità di acqua emunta”.