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Salute

L’industria del cibo e il problema dell’antibiotico resistenza, l’inchiesta di Altreconomia

Il problema dell’antibiotico resistenza dovrebbe essere al centro dei discorsi all’interno dell’Unione Europea e non solo ma, come riporta l’inchiesta di Altreconomia, in realtà nessuno sembra che se ne stia occupando

Antibiotici e batteri (foto: Pexels)

L’antibiotico resistenza è quel fenomeno per cui a causa di una esposizione continuata ed eccessiva agli antibiotici, si generano ceppi di virus e batteri che sono in grado di resistere alle medicine attualmente disponibili per l’uomo per contrastare le infezioni e le patologie. Si tratta di un problema che vede tra le cause l’utilizzo intensivo che si fa degli antibiotici negli allevamenti in cui gli animali, costretti a vivere in pratica gli uni sugli altri, sono più deboli ed esposti alle malattie e vengono quindi preventivamente caricati di antibiotici.

Nell’inchiesta di Altreconomia vengono per esempio riportate le parole di Margaret Chan, direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che nel 2015 già paventava una situazione insostenibile nei reparti di chirurgia e in generale nel trattamento delle malattie. Abbiamo già trattato questo problema andando a vedere quanto per esempio da noi in Italia i medici di medicina generale e i pediatri siano troppo spesso facili alla prescrizione proprio degli antibiotici, non solo quando sono necessari ma anche quando gli antibiotici non sono la risposta giusta alle patologie dei pazienti.

Abbiamo inoltre già detto come a differenza di altri Paesi in Italia non ci sia uniformità nei trattamenti sanitari e non si siano adottati sistemi per cui ai pazienti vengono consegnate solo le dosi di antibiotico strettamente necessarie e non scatole magari da 20 o 30 compresse che finiranno con l’andare a male (magari smaltite nel gabinetto o disperse nell’ambiente). Ma il problema della resistenza agli antibiotici dipende anche dal modello agroalimentare: il modo in cui produciamo il cibo massicciamente e senza posizioni equilibrate sta contribuendo anche a produrre virus e batteri più forti e aggressivi.

Ma qual è il legame tra allevamenti intensivi sviluppo di antibiotico resistenza e noi? La riflessione fatta sulle pagine di Altreconomia è in realtà una riflessione che è facile fare partendo semplicemente da ciò che succede dopo che un animale è stato macellato. Imbottito di antibiotici, l’animale ucciso e fatto a pezzi per essere venduto diventa veicolo proprio di quei batteri che non sono morti perché appartenenti a ceppi che resistono agli antibiotici.

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Chiunque quindi tocchi la carne cruda rischia di infettarsi e a sua volta di propagare infezioni. Nel focus di Altreconomia si fa per esempio riferimento al batterio Gram-negativo Campylobacter, presente in oltre metà dei polli venduti in Inghilterra.

Da diversi anni il Ministero della Salute sta cercando di convincere gli inglesi a non lavare il pollo crudo per evitare che questo batterio finisca nelle acque reflue dove può riprodursi e creare ceppi indistruttibili. Ma ci sono anche le antibiotico resistenze dovute ai pesticidi come il glifosato prodotto da Monsanto. Per il glifosato, i rischi per la salute si aggiungono quindi a quelli derivati dalla sua stessa composizione.

Per affrontare le sfide mediche di domani e non trovarci a non poter più curare neanche le malattie più semplici, non occorre soltanto spendere per la ricerca scientifica che deve darci nuovi antibiotici ma anche limitare e modificare il nostro modello di produzione del cibo che è tra le cause principali proprio dello sviluppo dell’antibiotico-resistenza.

Pubblicato da
Valeria Poropat