“Basta con i volti disperati dei bambini in TV, sui giornali e sui social!”: il monito del GPDP

Le vittime della guerra rischiano di esserlo una seconda volta a causa dell’eccessiva esposizione mediatica. Il GPDP richiama i mezzi di comunicazione di massa

bambini guerra
Street art guerra (unsplash)

In giurisprudenza si chiama vittimizzazione secondaria. E’ un termine usato principalmente per le donne che hanno subito violenza e che sono costrette a riviverla senza alcuna sensibilità altrui in sede processuale. Ma se si tenta un’analogia – mi auguro non troppo azzardata – anche le vittime delle guerre che rivivono costantemente il loro dramma attraverso i social ed i canali di esposizione mediatica subiscono un’ulteriore vittimizzazione. Vivere in tempo di guerra è già sufficientemente difficile e non è necessaria l’inflazione dei volti disperati.

In particolare quando si tratta di minori. Ed è su questo che il Garante della privacy lancia un monito ai media. Ovviamente non può formalmente ammonirli, ma chiede, in un comunicato stampa, di circoscrivere la pubblicazione delle immagini dei bambini disperati al solo necessario, perché altrimenti “quelle fotografie e quei dati, nella dimensione digitale, perseguiteranno quei bambini per sempre, e, magari, in molti casi li esporranno a conseguenze discriminatorie di carattere sociale, culturale, religioso o politico di ogni genere, conseguenze, forse, oggi, in molti casi persino imprevedibili“.

E sottolinea ancora una volta come “l’immagine del bambino, come qualsiasi dato personale che lo riguardi, dovrebbe entrare nel sistema mediatico solo quando ciò sia indispensabile o, ancora meglio, solo quando la sua pubblicazione sia nell’interesse del bambino“.

Ma nell’era delle distanze inesistenti e delle notizie acchiappaclick in tempo reale, non stupisce che i volti dei bambini siano portati come bandiera di una guerra che comunque vada sarà una sconfitta. Chi fa informazione dovrebbe sempre ricordare la responsabilità che il proprio lavoro implica, non in declinazione moralizzante, ma oggettiva.

Una deontologia professionale non scritta su carta ma che proviene da un’etica individuale e collettiva. Una questione antica ed annosa che non siamo ancora riusciti a risolvere ma che si è esponenzialmente esacerbata.

E sembra che il Garante della privacy concordi con chi scrive quando così conclude il comunicato: “Il Garante richiama quindi tutti i mezzi di comunicazione di massa, pur nell’indispensabile lavoro di testimonianza dei tragici effetti della guerra, ad una maggior tutela dei minori”.

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