I timori, inaugurati dal primo periodo della pandemia, e che si ripropongono con il conflitto in Ucraina, sono figli di una percezione falsata
La logica consumistica dei Paesi Occidentali ha abituato nei decenni i cittadini a poter avere disponibilità pressoché illimitata dei beni, soprattutto se si parla dei generi alimentari. Una cultura che ha dimenticato da tempo la stagionalità dei prodotti, e che consuma fragole e dicembre si è trovata improvvisamente con la minaccia di non poter più accedere neanche ai beni di prima necessità.
Ricordiamo tutti le immagini degli assalti ai supermercati nel primo periodo pre-lockdown. Il timore di un razionamento della disponibilità evidentemente è una sottrazione insopportabile. Ed ora è tornato. Con il conflitto in Ucraina si parla sempre più di aumento dei prezzi di benzina e di pasta o derivati dalla farina; di conseguenza la minaccia in corso è che esponenzialmente si arrivi ad una carenza di questi beni di prima necessità.
Ma il timore diffuso, dove i media hanno una responsabilità non indifferente, non corrisponde alla realtà, e come sottolinea Altroconsumo, porta a comportamenti allarmistici non necessari.
L’associazione ha condotto un’indagine per verificare la rispondenza tra le aspettative dei consumatori e quello che effettivamente hanno trovato negli scaffali dei supermercati. La ricerca è stata condotta attraverso delle interviste che hanno coinvolto 1.500 persone iscritte alla piattaforma ACmakers (progetto Altroconsumo atto al coinvolgimento diretto degli utenti).
Dai risultati emerge che per alcuni prodotti la disponibilità è effettivamente diminuita, ma non tanto da entrare in un clima allarmistico. Da una parte il 50-60% degli intervistati ha mostrato timore che la disponibilità dei generi alimentari diminuisse copiosamente; dall’altra, toccando con mano l’esperienza della spesa al supermercato, il campione ha potuto verificare che al momento il timore non è così fondato.
Tra le percezioni errate dei consumatori rientra anche la politica dell’aumento dei prezzi. La causa principale a cui gli intervistati attribuiscono l’aumento dei costi è il conflitto, ma l’inchiesta di Altroconsumo mostra come il trend era in ascesa già da prima. A dare il via all’impennata dei prezzi per le materie prime sono stati, nella fase di ripresa dalla pandemia, i disastrosi cambiamenti climatici che hanno compromesso i raccolti di alcune materie in particolare. Si veda ad esempio il caso del Canada, primo esportatore di farina per il Vecchio Continente.
Leggi anche: Greenpeace, crisi dei prezzi di mais e grano e il problema sicurezza alimentare
Leggi anche: Rincaro materie prime, cosa si cela dietro il sottocosto dei supermercati
Il conflitto fra Russia ed Ucraina ha poi esacerbato una tendenza già in ascesa, con la complicazione dell’aumento dei prezzi dei carburanti, che necessariamente si ripercuote su tutta la filiera. L’indagine ribadisce che per molti prodotti il conflitto non ha provocato una grande accelerazione nell’ascesa dei prezzi, dove per alcuni prodotti il costo è addirittura diminuito.
In definitiva, senza dubbio i tragici eventi internazionali che stanno monopolizzando l’attenzione provocano un effetto a cascata sui consumi attuali, è inevitabile, ma la percezione comune è probabilmente falsata da una sovresposizione informativa. Si sa, il giornalismo della paura funziona e paga bene, ma non sempre corrisponde alla realtà. La conseguenza inevitabile sono le scorte alimentari eccessive da parte dei consumatori, che ovviamente spogliano gli scaffali dei supermercati. Ma per il momento il rischio di trovare il piatto vuoto in tavola è piuttosto lontano.