Quando l’aggravamento è interno, l’intervento chirurgico è l’unica soluzione di guarigione dalle emorroidi. Vediamo come
Fonte articolo: IRCCS Humanitas Research Hospital
Spesso ne soffre chi svolge lavori o conduce una vita particolarmente sedentaria in cui si sta per troppo tempo seduti; le emorroidi si manifestano in forme apparentemente non riconducibili allo stile di vita, ma è bene riflettere su qualsiasi suggerimento correttivo per prevenire i seri problemi che coinvolgono la parte terminale dell’apparato digerente.
Le emorroidi possono essere definite come formazioni anatomiche del canale anale, sono morbidi cuscinetti di tessuto che incidono negativamente sul mantenimento della continenza e l’evacuazione del contenuto rettale; sono composte da una fitta rete di vasi sanguigni, localizzata nella parte terminale del canale anale. Le aree interessate sono due: il plesso emorroidario interno, nel canale anale; e il plesso emorroidario esterno, posto sul margine anale, è questo a causare la maggior parte dei disturbi.
Emorroidi: quando l’intervento è inevitabile?
Generalmente i sintomi si manifestano in dolore e bruciore anale, accompagnati dalla perdita di gocce di sangue dopo la defecazione, ma le emorroidi possono aggravarsi fino a causare il prolasso, ovvero la loro fuoriuscita, insieme alla dolorosa sensazione di prurito, umidità e ingombro.
Proprio l’infiammazione delle vene emorroidali “che scivolano all’esterno della loro sede naturale nell’ano per il cedimento della mucosa rettale”, è caratterizzata da quattro stadi di gravità: nel primo stadio, le emorroidi interne non sono “prolassanti”; nel secondo stadio, le emorroidi sono prolassanti ma si riducono spontaneamente; nel terzo stadio, le emorroidi sono prolassanti e necessitano dell’intervento per ridurle; nel quarto stadio, le emorroidi sono costantemente prolassate.
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Se nel primo e secondo grado, è importantissimo bere molto, almeno due litri al giorno, e seguire una dieta ricca di fibre e verdure, accompagnata dall’attività fisica, è nel terzo e quarto grado che il ricorso alla chirurgia è inevitabile. L’intervento agisce operando l’interruzione del flusso arterioso (dearterializzazione emorroidaria) mediante l’utilizzo di un doppler; laddove vi è sanguinamento, quindi, la mucosa viene ricondotta verso l’interno e le emorroidi riposizionate internamente. Il recupero post-operatorio è poco doloroso e la ripresa è rapida, grazie al fatto che non comporta l’apertura di ferite.
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Chirurgicamente, l’alternativa è data dall’obliterazione, ovvero la chiusura dei rami arteriosi emorroidari, attraverso il laser e la plissettatura del prolasso. Le casistiche più gravi richiedono però l’emorroidectomia, il tradizionale intervento di asportazione delle emorroidi: occorrerà qualche settimana affinché le ferite guariscano spontaneamente; nel frattempo gli analgesici attenueranno il dolore intenso post-operatorio, ma questo intervento è pressoché risolutivo, abbassa drasticamente la probabilità che i disturbi ricompaiano.