Non potrebbe necessariamente trattarsi di errori ma delle ultime novità fiscali in busta paga. Come capire se l’importo è corretto
Quando giunge finalmente la fine del mese è per i lavoratori tempo di stipendi e di conseguenza della consegna delle buste paga. Visionarla costituisce un’azione necessaria, legata non solo a verificare se l’importo di quanto si va a percepire nel dato mese è giusto, ma pure per monitorare la disponibilità dei giorni di ferie e delle ore di stipendio; insomma, per metà delle sue funzioni, la busta paga permette inoltre di gestire le improcrastinabili assenze dal luogo di luogo e i giorni del tanto atteso e meritato riposo.
Per quanto riguarda lo stipendio, nel senso dell’importo percepito, è tutto un altro discorso: al lavoratore è chiesto, nei limiti delle sue possibilità, di districarsi tra voci di imponibili, imposte nette, fondi dei lavoratori, addizionali e aliquote. Un ginepraio che non sempre deve addurre alla confusione che anticipa l’errore da parte del datore di lavoro nel comunicare l’importo, ma più semplicemente può contenere delle novità fiscali, le quali sono tendenzialmente recepite dal dipendente con ritardo.
Le novità della riforma fiscale hanno indotto i datori di lavoro ad aggiornare i parametri di calcolo delle buste paga di marzo; ben inteso, un lavoratore potrebbe pensare anche ad un errore in senso positivo. Rispetto alle stesse mensilità dello scorso anno, se raffrontate, emerge con estrema chiarezza un’evidente differenza negli importi netti, ma anche in quelli lordi, risultato di forti modifiche sul piano fiscale e su quello delle prestazioni a favore del reddito familiare riconosciute direttamente nel cedolino.
Sebbene gli annunci lusinghieri del Governo dichiarino delle opportunità di risparmio per la maggior parte degli italiani, quello che potrebbe rappresentare un errore su una cifra apparsa più bassa rispetto ai mesi subito precedenti, in realtà non lo è in particolare per la fascia di redditi sotto i 30mila euro. Per chiarire qualsiasi dubbio è opportuno dunque controllare la busta paga, iniziando dal raffronto delle cedole della stessa mensilità ma di due anni diversi in modo da far affiorare le novità dell’ultimo anno.
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Complessivamente, i cambiamenti che agiscono sulla retribuzione di marzo, si sono manifestati sulle seguenti voci fiscali: taglio delle aliquote Irpef, nella fascia di reddito compresa tra i 15 mila e i 50 mila euro; revisione delle detrazioni da lavoro dipendente; sopra i redditi di 15 mila euro, cancellazione del trattamento integrativo (ex bonus Renzi), anche se recuperato – per i redditi compresi tra 15 mila e 28 mila euro – in dichiarazione dei redditi nel caso vi siano le condizioni; taglio della quota contributi a carico del lavoratore dipendente, attestatosi all’8,39% nel privato e all’8,00% nel pubblico.
All’interno della riforma fiscale finanziata dalla legge di Bilancio, dal 1° gennaio 2022, si affiancano delle misure riformate riguardanti le prestazioni per il sostegno al reddito della famiglia. A partire da marzo 2022, le prestazioni cancellate dalla busta paga, sono: assegni al nucleo familiare; detrazioni per figli a carico under 21. L’eliminazione viene compensata dall’introduzione dell’assegno unico universale per figli a carico, erogato direttamente dall’Inps.
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Ogni possibile ribasso delle somme potrebbe esser dovuto appunto al fatto che vengono tolte le voci relative all’assegno al nucleo familiare (assegni familiari) e alle detrazioni per i figli a carico, distribuite con l’assegno unico; in taluni contesti familiari, andandoci anche a guadagnare. Sul piano fiscale, bisogna individuare in cedola il bonus contributi, riconosciuto solamente ai redditi inferiori ai 35 mila euro annui lordi, che esonera dalla quota dei contributi l’aliquota ordinaria (nel settore privato, è del 9,19%; 8,80%, nel settore pubblico).
L’altra variabile è data dall’aliquota Irpef, più bassa rispetto a quella applicata lo scorso anno, ma solo per due fasce di reddito: tra i 15 mila e i 28 mila euro, l’aliquota è passata dal 27% al 25%; tra i 28 mila e i 50 mila euro, dal 38% al 35%. Per i redditi compresi tra i 50 e i 55 mila euro, al contrario, l’aliquota subisce il rialzo dal 38% al 42%.
Anche il trattamento integrativo, che per la legge 21/2020 viene cancellato dalla busta paga ai redditi sopra i 15 mila euro, potrà essere recuperato (ma non per tutti) con la dichiarazione dei redditi dell’anno successivo. In effetti, però, tra le varie voci, la sua assenza rappresenta la voragine che più colpisce il lavoratore, insieme agli assegni familiari e alle detrazioni; ma attenzione: per mettere mano alle somme sostitutive, occorre aver inoltrato la domanda per l’assegno unico.