La banca può valersi del diritto di chiudere unilateralmente il conto corrente a danno della reputazione del titolare. Qual è il caso?
Il conto corrente è formalmente parte dell’identità del suo titolare, un vero e proprio peso specifico che condiziona gli elementi appartenenti ai rapporti di forza della sfera economica, che sia nella dimensione privata o in quella pubblica. Come detto, l’utente – il correntista – ne è il titolare come è responsabile delle azioni operanti all’interno del conto corrente: versamento, prelevamento, bonifici.
Tutto sommato, il cliente, sebbene sia l’artefice della giacenza, non ha un ruolo attivo e le garanzie nei suoi confronti agiscono per dinamiche passive: pensiamo alla tutela della giacenza da parte della banca, considerata in misura superiore alla tutela del suo titolare. Le transazioni finanziarie, quindi, e le diverse operazioni di pagamento, “scorrono” lungo il nostro iban come fosse una componente genetica della nostra entità finanziaria; i danni economici, pertanto, diventano pesanti quando l’utente si trova impossibilitato ad accedere al proprio credito, causa blocco, o addirittura assiste alla chiusura del conto.
Un titolare di conto corrente può incorrere alla chiusura forzata del conto corrente. È un caso effettivamente raro, ma plausibile; nello specifico, è la banca che mette in atto il recesso unilaterale richiamando le clausole di salvaguardia previste dalla normativa: in breve, queste clausole regolamentano la variazione automatica di specifiche voci di tasse e imposte per salvaguardare il conseguimento degli obiettivi delle politiche finanziari istituzionali.
L’intestatario del conto non può opporsi all’iniziativa della banca; in primo luogo, egli ne viene a conoscenza a giochi fatti. A tale decisione non può frapporsi nemmeno la valutazione di un giudice; il rapporto con l’istituto di credito svanisce ma non in maniera tale da non lasciare tracce nel futuro dei rapporti con altre banche. In genere, sono i reati di natura finanziaria ad attivare l’istituto, come ad esempio i casi di evasione fiscale.
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La valutazione della banca, però, nasce da un’indagine interna nei confronti dell’intestatario del conto; ignorando la reputazione del cliente, la fonte di riferimento è rappresentata da un eventuale report negativo del database World-Check, l’archivio di dati aperto alla consultazione delle banche per valutare la posizione dei loro clienti. Paradossalmente la sua affidabilità è tuttavia parziale perché incrocia informazioni raccolte dal web, con tutto ciò che ne consegue sul piano dell’attendibilità.
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Le informazioni personali, infatti, possono essere inserite da soggetti terzi senza il consenso dell’interessato, oppure non essere adeguatamente aggiornate e pertanto non più corrispondenti al vero nel tempo. Il World-Check non filtra né attacchi di nostri eventuali nemici né articoli a nostro discredito, oppure l’obsolescenza di certe delicate informazioni. È bene di tanto in tanto googlare il proprio nome; così come sfruttare servizi gratuiti quali Google Alert; quest’ultimo non rileva i commenti dei social talvolta denigratori, perciò bisognerà ricorrere a servizi professionali di social listening: fra tutti, LinkMonitor.