Il conto corrente cointestato può essere un’ottima soluzione per una coppia ma ci sono delle accortezze a cui prestare attenzione per non incorrere in controlli del Fisco
È consuetudine in Italia che due coniugi o conviventi, ma anche due familiari come fratello e sorella, abbiano un conto corrente cointestato, ovvero intestato ad entrambe le parti. Questo tipo di conto prevede due tipologie differenti le cui differenze stanno nell’effettuare le operazioni: i conti cointestati possono essere o a firma disgiunta o a firma congiunta.
La differenza sta che nei conti cointestati a firma disgiunta i titolari hanno pari diritto nell’utilizzo del deposito mentre per quelli a firma congiunta, per compiere qualsiasi operazione è necessario la presenza di entrambi i cointestatari. In quest’ultimo caso, quindi le operazioni di prelievo, emissione di assegni e disposizione di bonifici devono essere effettuati alla presenza di entrambi i firmatari.
Tutti coloro che hanno un conto corrente cointestato devono fare molta attenzione ai controlli serrati da parte del Fisco. Se non si seguono infatti delle precise regole si potrebbe incappare in sanzioni pesantissime. Quando si effettuano le operazioni, quindi, bisogna fare attenzione ad un azione perché la benché minima mossa sbagliata può far scattare i controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate per scoprire se ci sono state irregolarità.
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Tra gli errori più comuni che commettono coloro che hanno un conto corrente cointestato è pensare che i soldi depositati appartengono per metà ad entrambi. Questo è assolutamente falso dal momento che il denaro presente sul conto è di proprietà di chi lo versa. A ribadire questo è stata una sentenza della Corte di Cassazione del settembre 2021.
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La Corte di Cassazione, infatti, prese ad esempio del provvedimento quanto era accaduto ad una coppia di coniugi. Il marito aveva preso dei soldi dal conto cointestato senza il consenso della moglie, pensando che fossero anche soldi suoi. In realtà il denaro era stato depositano dalla donna e quindi apparteneva solo a lei. La Suprema Corte diede ragione al Fisco e considerò che la somma prelevata andava ad aggiungersi al reddito imponibile del marito.