In caso di eredità giacente, gli eredi possono dimostrarne l’accettazione con atti passivi e involontari. Vediamo come
Alla morte di un proprio caro, arriva per i più la convocazione del notaio: l’atto inequivocabile che anticipa l’apertura del testamento. In teoria, i parenti più o meno diretti, chiamati all’eredità, possono cogliere l’opportunità per entrare in possesso di beni mobili o immobili e introdurli tra le proprie rendite di vita; un evento che può essere talvolta una sorpresa, ma non sempre giunge agli interessati – per le più varie ragioni – come una graditissima notizia.
Se sul fronte del fisco, l’erede deve adempiere all’inderogabile obbligo della dichiarazione di successione, da un altro lato si apre una questione più sottile e delicata, legata all’accettazione dell’eredità. La successione testamentaria legittima, secondo il suo corredo normativo, la facoltà dell’erede di accettare o di rifiutare di entrare in possesso del patrimonio, attivo e passivo, di un defunto.
Il passaggio patrimoniale non è né necessario né automatico (come si potrebbe immaginare); si dipana un tempo “vacante” prima dell’accettazione, in cui l’eredità è giacente. Tutte le azioni attive e passive a favore del patrimonio restano in attesa di un titolare e di conseguenza di una qualsiasi forma di gestione. Può subentrare un curatore dell’eredità giacente, figura prevista dalla normativa ma nominata solo su attivazione da parte degli interessati stessi o d’ufficio.
Nel frattempo, gli eredi hanno dieci anni di tempo per decidere se accettare o meno l’eredità; un tempo, questo, dove il curatore deve approntare tutte le azioni necessarie per garantire la conservazione del bene, tutelandolo dal rischio di deterioramento. Inventariando il patrimonio, il curatore è preposto inoltre alla gestione dei rapporti con gli eventuali creditori del defunto, compresa l’eventuale chiamata in giudizio, e ha la facoltà di seguire l’affitto di un immobile del vecchio proprietario.
Non solo, il curatore può interessarsi della gestione dei rapporti con gli eventuali creditori del defunto e addirittura farsi carico dell’altrettanto eventuale chiamata in giudizio. Il curatore, dunque, può investirsi della titolarità di diverse azioni, ovviamente solo dopo aver inventariato il patrimonio: ha la facoltà di seguire l’affitto di un immobile del vecchio proprietario, di stipulare contratti di gestione di questo bene o di altri ereditati; altresì, di intentare azioni di giudizio a nome della tutela dell’eredità.
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Gli eredi possono accettare l’eredità sia verbalmente che tacitamente. L’accettazione è tacita quando – secondo il Codice civile – il chiamato all’eredità svolge un’azione che lascia intendere la volontà di accettare, legittimando la sua stessa qualità di erede. Emblematico il caso affrontato dalla Corte di Cassazione: un’eredità giacente composta da due immobili; dopo un po’ di tempo, alcuni dei chiamati all’eredità comunica la voltura catastale all’Agenzia delle Entrate.
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Quest’ultimo è l’atto che dimostra il cambio di proprietario dell’immobile. Di conseguenza, i giudici della Cassazione hanno reputato l’atto quale segnale di accettazione tacita dell’eredità. L’immobile è quindi entrato tra i beni dell’erede tacito; gli stessi giudici hanno dato pertanto via libera ai creditori del defunto di procedere al sopraggiunto pignoramento dei beni dell’erede tacito.