L’abuso di consumo fa sì che condividessimo gli stessi rischi corsi dal tonno che stiamo mangiando. Vediamo di cosa si sta parlando
Il cibo in scatola rappresenta il cibo tradizionale per taluni formati di famiglia: l’iconografia cinematografica ci ha restituito con la costanza dei tempi, l’immagine che esso costituisse il vitto dei single; o peggio ancora la fonte di cibo di mariti fedifraghi cacciati da casa dalle proprie mogli. Forse, la “latta” va oltre, al di là di ogni morale, questo côté estetico che ha rappresentato e rappresenta emblematicamente l’andazzo di una fetta (neanche troppo piccola) generazionale.
Però, in fondo, chi ha inventato questa singolare tipologia di conservazione del cibo – per i nonni di alcuni di noi, del tutto estranea – ha salvato un fiume di persone alle prese con il lavoro fino a tardi, oppure semplicemente dalla fretta degli impegni quotidiani tipica del nostro presente. Il vecchio carosello televisivo fece esordire, a suo tempo, il cibo in scatola sulla tavola degli italiani nella versione della carne di manzo in gelatina; ora, nella stessa scatola è entrato di tutto, dai piselli fino al gettonatissimo tonno.
Tonno in scatola, cosa si rischia abusandone troppo
Se l’opzione di un pasto veloce a base di scatolette di tonno è condivisa e niente affatto bistrattata per la praticità di tirar su il livello delle proteine in maniera economica e senza impegno tra i fornelli, tuttavia quest’invenzione del mercato non è scevra da rischi ed effetti collaterali, neanche a dirlo, per la nostra salute; ma si tratta di puntare su dosi congrue, evitare il consumo eccessivo, senza quindi necessariamente interrompere ogni acquisto.
È l’odierna ricerca scientifica a svelarci l’arcano che dovrebbe indurci a una responsabile cautela: la presenza di mercurio nell’organismo del pesce. Se ne introduce (nel nostro organismo) tanto quanto ne ha assimilato un certo tipo di tonno, con potenziali rischi per la salute, annessi e commisurati. Pensiamo, quindi, in che termini questi rischi possano palesarsi su popolazioni come quella statunitense dove il consumo di pesce e crostacei rappresenta oltre il 90%.
Il mercurio si deposita sul fondo dei laghi, dei fiumi e degli oceani, proveniente dalle più varie e inquinate attività produttive, nonché prodotto dalla decomposizione del carbonio organico naturale, e si infiltra con facilità nel ciclo vitale degli organismi acquatici. Al contatto con l’acqua il mercurio viene sintetizzato dai microrganismi in una forma altamente tossica chiamata metilmercurio che si accumula nella carne del pesce che arriva nei supermercati.
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Mangiare tonno comporta un’assunzione di mercurio maggiore rispetto a se mangiassimo sardine; consumarlo per più di tre volte a settimana significa potenziarne i rischi per la nostra salute. Il metilmercurio è una potente neurotossina, quindi, di fatto l’eccessivo consumo di pesce può procurare avvelenamento da mercurio, anticipato da prurito, sensazione di formicolio alle dita di piedi e mani, debolezza muscolare, problemi di coordinazione, disturbi del linguaggio e dell’udito e visione periferica ridotta.
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Le donne in gravidanza potrebbero trasmettere disturbi nel sistema nervoso centrale dei loro bambini. Ed è proprio la loro, la categoria dove più si riscontra scientificamente l’alta presenza di mercurio nel corpo, perché, come è successo negli Stati Uniti, le donne incinte hanno seguito le indicazioni delle tabelle alimentari ufficiali, ritrovandosi elevati quantitativi di metallo nei capelli, là dove il mercurio si accumula.