La gestione consona del conto corrente consente di salvaguardare i propri risparmi da alcuni rischi. Vediamo quali
Il conto corrente è da considerarsi formalmente una sfaccettatura dell’identità del suo titolare, un vero e proprio peso specifico che grava sugli elementi caratterizzanti i rapporti di forza economici, che sia nella dimensione privata o in quella pubblica. Come detto, il cliente di qualsiasi istituto di credito, cioè il correntista, ne è il titolare, quanto come è responsabile delle azioni operanti all’interno del conto corrente: versamento, prelevamento, bonifici.
Il cliente, sebbene sia l’artefice della giacenza, non ha un ruolo concretamente attivo, se non quello di farsi accreditare lo stipendio o la pensione; le garanzie nei suoi confronti agiscono per dinamiche passive: pensiamo alla tutela della giacenza da parte della banca, considerata in misura superiore alla tutela del suo titolare. Ma trasversalmente il conto corrente è considerato da molte famiglie italiane, un lido certo dove custodire al sicuro i propri risparmi, diversamente da altre, più arrischiate soluzioni.
La gestione di un conto corrente dipende non solo da una questione di necessità, ma paradossalmente anche di sensibilità; nel senso che non esiste una gestione unica della propria giacenza. Quest’ultima è inestricabilmente legata ad una rosa di fattori che ci riguardano personalmente: ad esempio, la libertà di tenere un certo livello di liquidità, alto o basso che sia; oppure, l’assunzione di un rischio insito nel sottoporre il denaro alla roulette degli investimenti.
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A considerare delle strade possibili verso un percorso autogestito del risparmio, si possono empiricamente individuare tre vie. Bisogna però premette e spiegare quale esigenza spinge a mantenere una giacenza oltre la media: il più delle volte, si vuole portare a conclusione un’importante transazione finanziaria, come quella rappresentata dall’acquisto di un immobile. Di riflesso, vige nei confronti del correntista un profilo correntistico contraddistinto da una bassa ricerca dei rischi, se non l’assenza; una simile conclusione denota che la prima delle scelte “culturali” di lasciare i soldi sul conto infruttiferi sia un prossimo investimento sul mercato azionario.
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Apparentemente più banale risulta il motivo dato da un senso di sicurezza profuso nella mancata movimentazione: in concreto, si deve parlare della radicale scelta di non investire, quale a convalidare l’atteggiamento del correntista nel sentirsi protetto in quanto non prevede alcun rischio sul proprio futuro. Sebbene sia un’opinione rispettabile e in ogni caso condivisa da non pochi soggetti, evitare di investire è un comportamento esposto al nemico invisibile della svalutazione, mosso dall’altrettanta insinuante inflazione sui risparmi (vedasi l’inflazione in forte ascesa dovuta all’aumento dei prezzi dei beni energetici e della guerra in Ucraina).