L’Amazzonia disboscata dalla soia: Greenpeace blinda l’hub europeo

Gli interessi della soia da allevamento sta distruggendo parte della biodiversità mondiale, col placet dei Paesi europei. Cosa sta succedendo

L'Amazzonia disboscata dalla soia: Greenpeace blinda l'hub europeo
Pantanal (Foto Nathalia Segato on Unsplash)

La natura, gli ecosistemi sono fatti di cicli. La collocazione sul pianeta Terra di zone ad alta biodiversità non è affatto casuale o priva di logica. Tutte le parti contribuiscono alla coerenza del processo e la loro somma produce la vita. Oggi, stiamo vivendo sulla nostra stessa pelle la nuova condizione che non esiste soltanto una violenza che colpisce le persone, l’essere umano; si pratica un vilipendio sull’ambiente, altrettanto violento, che tende solo a ritardare (per priorità) le ferite umane.

L’emergenza climatica sta mostrando in tutta la sua drammaticità lo sfruttamento dell’ambiente, in qualità di asset dell’industria. L’incalcolabile prelievo delle materie prime e di risorse naturali ha sconquassato gli equilibri geologici e di conseguenza i loro riflessi sul clima: l’aumento di circa tre gradi di temperatura negli ultimi vent’anni sta modellando nuovi ecosistemi, ma atipici rispetto alle zone del mondo presso le quali si manifestano; a loro volta questi habitat verranno adoperati all’estremo generando nuovi sconvolgimenti (senza un netto cambio di rotta).

In tutta evidenza, sono i comportamenti anomali del mercato mondiale a procacciare nuove aree, che diverranno espressione (finché dura) dei contingenti equilibri commerciali. Lo scotto da pagare grava sulle prime vittime: specie animali e vegetali, microorganismi, equilibri ecosistemici. La rinuncia a ciascuno di questi tasselli rende sempre più affannoso il grande respiro del mondo.

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Come sappiamo, è il Sudamerica a detenere i polmoni verdi più grandi del pianeti; il mondo, a detenerne le sorti. Un esempio è il Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Al contempo da lì proviene la maggiore produzione planetaria di soia destinata come mangime negli allevamenti. La notizia è di questi giorni: Greenpeace ha bloccato la nave mercantile “Crimson Ace”, con all’interno 60mila tonnellate di soia brasiliana, presso le chiuse di ingresso al porto di Amsterdam, in Olanda.

La destinazione dell’ingente carico: i mercati europei. È infatti in Europa che la soia entra nell’alimentazione degli animali rinchiusi negli allevamenti intensivi, che poi saranno condotti al macello o alla produzione di latticini. Stanno protestando attivisti giunti da 16 Paesi, compresi alcuni leader dei Popoli Indigeni stanziati in Brasile, per denunciare l’aumento esponenziale delle produzione mondiale di soia, raddoppiata, dal 1997.

Nonostante ciò, le aree coltivate per la mangimistica risultano insufficiente rispetto al fabbisogno degli allevamenti europei. La necessaria ma parossistica importazione della soia ha reso l’Unione Europea, che la sprona, il uno dei principali attori della deforestazione globale. Il Pantanal è stato mutilato del 30% della sua estensione totale. Gli animali sono stati cacciati, i fiumi sono avvelenati.

L’Europa condivide la responsabilità della distruzione delle nostre terre ancestrali: chiediamo ai ministri di non perdere l’opportunità di invertire rotta“, questo è il grido lanciato da Alberto Terena, leader del Popolo Terena dello stato brasiliano di Mato Grosso do Sul. Dalla fetta destinata al vecchio continente, l’Italia estrae il 10% della soia importata, pari a 4 milioni di tonnellate (dato del 2021). Si fa viva la voce anche nel nostro Paese di vietare l’importazione di prodotti legati alla distruzione della natura e alle violazioni dei diritti umani, e si attende pertanto anche dal Ministero della Transizione Ecologica il primo passo per bloccare la deforestazione.

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