La plastica bio è greenwashing? L’indagine di Greenpeace

La plastica bio sembra la risposta a tutte le perplessità e a tutte le necessità del monouso. La nuova indagine di Greenpeace ha acceso però un potente riflettore su quello che l’organizzazione ambientalista non si nasconde dal chiamare “greenwashing di Stato”

bio plastica compost
Plastica bio e compostaggio (foto Unsplash)

Sul sito ufficiale di Greenpeace Italia è stato infatti pubblicato un comunicato stampa in cui vengono diffusi i risultati dell’indagine dell’Unità Investigativa che ha riguardato proprio la plastica compostabile. Il titolo dell’indagine è “Altro che compost!” e raccoglie molte criticità e diversi problemi che gli imprenditori che operano nella gestione dei rifiuti e in particolare degli impianti che si occupano dei rifiuti organici stanno affrontando nella gestione della cosiddetta plastica compostabile.

Nell’indagine, la prima informazione che ricaviamo è di ordine pratico: in Italia purtroppo la plastica compostabile viene conferita con il resto dei rifiuti organici ma finisce in impianti che molto spesso non sono in grado di trattarla in maniera adeguata. Per questo motivo “in barba alla presunta sostenibilità”, questa plastica finisce o in una discarica o negli inceneritori. Pensavamo che con la plastica bio avremmo eliminato il ricorso alla plastica derivante dal petrolio ma, ed è sempre Greenpeace a dircelo, non è cambiando una plastica con un’altra che si risolve il problema dell’inquinamento.

In Italia la Direttiva Europea che riguarda la plastica monouso, identificata dalla sigla SUP, entrata in vigore solo a gennaio di quest’anno ma con alcune deroghe che, denuncia sempre Greenpeace, non risolvono il problema e oggi sono l’ennesima dimostrazione di come il nostro Paese continui ad “avere un approccio miope che favorisce solo una finta transizione ecologica“. Perché, di nuovo, siamo solo sostituendo un prodotto monouso con un altro prodotto monouso anziché andare a cercare di modificare alla base quella che è la vita legata al monouso.

Dei bicchieri di plastica, delle posate di plastica, delle cannucce di plastica possiamo fare a meno: esistono soluzioni non usa e getta che hanno un impatto ambientale minore perché riutilizzabili. Ma nel nostro Paese stiamo a quanto pare preferendo la sostituzione della plastica derivante dal petrolio con la plastica prodotta con materiali che dovrebbero aiutarci a combattere l’inquinamento.

In realtà, questi sono i risultati dell’indagine di Greenpeace, dato che nel nostro Paese è possibile conferire la bioplastica come rifiuto organico gli impianti non sono adeguati al trattamento di questo materiale e la plastica bio, ironia della sorte, diventa un rifiuto da discarica.

L’indagine dell’associazione ambientalista ha calcolato, in base ai dati del Catasto rifiuti di ISPRa, che “il 63 per cento della frazione organica è inviato a impianti che difficilmente riescono a degradare le plastiche compostabili, che quindi finiscono per essere scartate. Il resto finisce in impianti di compostaggio che abitualmente operano con tempistiche troppo brevi per garantire la compostabilità“.

Da qui le dichiarazioni di Giuseppe Ungherese Responsabile campagna inquinamento di Greenpeace: “Considerato i problemi di trattamento delle plastiche compostabili, è incomprensibile che l’Italia continui a incentivare questi materiali. Siamo di fronte a un greenwashing di Stato, che si trasforma in una truffa nei confronti della collettività“.

Il problema è che molte volte i prodotti in plastica bio vengono pubblicizzati come se fossero in grado di dissolversi nell’ambiente con la stessa facilità con cui si dissolve un torsolo di mela o una foglia di lattuga quando invece non è così. In molti altri Paesi europei la plastica compostabile viene conferita nell’indifferenziato proprio per evitare che rovini il compost e per mantenere comuqnue nei cittadini desta l’attenzione sul fatto che si sta creando un rifiuto.

È chiaro però come anche questa soluzione di non conferire la plastica bio insieme all’umido non risolve il problema a monte, sempre Ungherese ricorda che ” i maggiori benefici ambientali si ottengono abbandonando l’usa e getta, indipendentemente dalla tipologia di materiale“. Non dobbiamo quindi cadere nel tranello della pubblicità che ci fa credere che comprare piatti e bicchieri monouso in plastica bio non abbia conseguenze sull’ambiente.

Da parte di Assobioplastiche e Biorepack, due dei principali player nel settore della produzione di plastica bio, sono arrivate aspre critiche e l’accusa di voler fare una crociata contro la plastica bio. Di tutte le critiche mosse alla associazione ambientalista, l’unica contestazione che a nostro avviso vale la pena menzionare riguarda il fatto che le due realtà lamentano che non sia stata indicata da Greenpeace la questione riguardo le shopper.

Questa è la risposta che Greenpeace da su questo punto specifico: “Da quanto emerge dall’inchiesta, gli shopper non rientrano tra i manufatti con problemi di degradazione negli impianti; problematica che, in base alle testimonianze raccolte, interessa i manufatti e imballaggi rigidi. L’organizzazione ambientalista riconosce la bontà della legge sugli shoppers, proprio perché non prevede la sostituzione uno a uno“. Di nuovo Greenpeace ribadisce come il problema sia la mentalità della plastica monouso e non l’utilizzo di un materiale piuttosto che un altro.

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