La speculazione è la causa del caro benzina. L’analisi di Alessandro Volpi

L’aumento del prezzo dei carburanti non dipende direttamente dal costo dei barili di petrolio, né dalle conseguenze del conflitto in Ucraina. Bensì dai meccanismi della speculazione finanziaria con esiti disastrosi per i consumatori italiani. Il punto di Alessandro Volpi

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Caro benzina (Foto Adobe)

Nonostante la decisione del governo Draghi di prorogare il taglio delle accise di benzina e diesel all’8 luglio, i prezzi al consumo stanno rapidamente aumentando con oltre 2 euro a litro nelle stazioni di servizio. Ma quali sono le cause del caro benzina? Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, traccia un rapido quadro della situazione.

Secondo lo studioso, i commentatori attribuiscono alla guerra in Ucraina la causa degli aumenti. In realtà è la speculazione ad avere il ruolo principale in questo processo. Il prezzo del greggio è determinato in prima battuta dai grandi produttori mondiali riuniti nel Opec, o che sono fuori da questo cartello e contribuiscono all’esportazione mondiale. Ma su questo valore influisce in larga misura la speculazione finanziaria.

Infatti sui prezzi di benzina e diesel pesa una doppia speculazione. Da un lato quella sulle aspettative di chi scommette, attraverso i derivati, sul rialzo delle quotazione del greggio, a causa delle sanzoni sulla Russia. Dall’altro quella sui prezzi definiti dall’agenzia privata Platts, con sede a Londra. Società di proprietà di grandi fondi speculativi e d’investimento come come Barclays flobal investors, Goldman sachs asset management, Vanguard group, Deutsche asset management america, Barclays global investors.

L’agenzia infatti fornisce le quotazioni della benzina sommando le speculazioni sul mercato del greggio a le valutazioni espresse dall’agenzia stessa. Non sorda agli interessi dei propri azionisti, attenti a loro volta alle aspettative al rialzo. Quindi una doppia speculazione fondata su aspettative e scommesse che hanno la forza di auto avverarsi.

Sul costo finale non incide la produzione mondiale e la quantità di petrolio sul mercato, ma la speculazione finanziaria. Alla quale vanno aggiunti costi di distribuzione e oneri fiscali. In particolare l’Iva che a si applica al prezzo della benzina stessa. La finanza distorce il mercato per i propri interessi e contribuisce all’inflazione. Questa apre ad una fase regressiva molto difficile.

Inflazione che, “oltre a costituire una tassa indiretta che colpisce in maniera indiscriminata tutti, senza alcuna distinzione di reddito, producendo quindi effetti pesantemente regressivi, ha un’altra rilevante conseguenza in termini fiscali. A parità di retribuzione nominale, le aliquote del prelievo fiscale rimangono le stesse, ma quella retribuzione nominale, proprio a causa dell’inflazione, vale ora il 7% in meno in termini reali, con l’effetto di un ulteriore impoverimento dei lavoratori”, sostiene Volpi.

Questa situazione non potrà che portare ad un aggravamento delle diseguaglianze sociali. Consuma il potere d’acquisto dei salari e inasprisce il carico fiscale a parità di reddito. I risultati ottenuti, a parere dello storico, saranno opposti a quelli di chi vuole bloccare gli aumenti salariali in Italia.

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