Una nuova ricerca condotta da CNR e pubblicata su Nature Sustainability dimostra come puntando sulla mobilità elettrica e sul lavoro agile da casa, o smart working, possiamo effettivamente ridurre le emissioni più inquinanti
Abbiamo già visto come durante la pandemia l’impossibilità di spostarsi utilizzando l’auto e la riduzione della produzione industriale abbiano avuto una conseguente riduzione delle sostanze inquinanti. Ora un nuovo studio condotto dall’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche fa effettivamente i conti per noi e ci permette di trasformare in una realtà calcolabile l’idea che la mobilità elettrica possa aiutarci a ridurre l’inquinamento così come l’idea che lavorare da casa possa avere effetti positivi sulle emissioni di CO2.
In particolare un numero che deve farci necessariamente riflettere è questo: 1%. Se infatti, da questi risultati della ricerca del CNR, eliminassimo l’un percento dei veicoli privati più inquinanti presenti in un centro urbano e sostituissimo questi veicoli con altrettanti veicoli elettrici otterremmo la stessa riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera come se scegliessimo a caso il 10% dei veicoli presenti nello stesso centro urbano.
Marco Nanni, ricercatore nonché coordinatore dello studio, a tal proposito dichiara “Si tratta di una evidenza scientifica di quanto sia importante compiere scelte che siano informate“. Nanni fa poi riferimento anche alle targhe alterne identificandole come in realtà misure molto meno efficaci rispetto ad altre politiche “di riduzione delle emissioni che compiano invece scelte mirate, come i più recenti divieti alla circolazione dei veicoli particolarmente inquinanti, o eventuali incentivi all’elettrico, che dovrebbero, però, essere concepiti per chi inquina di più“.
Non c’è quindi necessità di bloccare del tutto la circolazione delle auto solo in base a un parametro inutile com’è il numero finale della targa ma occorre andare a colpire quelle che sono le attività più inquinanti quando ci si sposta. E ovviamente ciò che emerge dallo studio CNR è che tra le attività che si compiono in auto più inquinanti c’è lo spostamento per andare presso il proprio posto di lavoro.
Luca Pappalardo, ricercatore CNR e coordinatore dello studio spiega perché: “Dal nostro lavoro emerge che chi si sposta in modo più prevedibile, come nel tragitto casa-lavoro, è responsabile di una maggiore fetta di emissioni di chi ha, invece, un comportamento di mobilità più erratico ed imprevedibile“.
Sapendo quindi che sono proprio gli spostamenti che tutti i giorni i pendolari compiono dalla propria abitazione verso il luogo di lavoro a creare il maggior impatto in termini di inquinamento atmosferico, quello che i decisori politici possono fare è sfruttare questi risultati che ci dicono che scegliendo la mobilità elettrica in maniera oculata e puntando di più sullo smart working avremo nelle nostre città un’aria meno pericolosa per la nostra salute.
Concludiamo riportando anche la dichiarazione di Matteo Böhm, dottorando della Sapienza e autore dello studio, “Solo con scelte informate, infatti, si può ‘sapere dove colpire’, ed arrivare così ad ottenere il massimo risultato. La nostra speranza è che studi come questo possano aiutare a raggiungere questo obiettivo“. Le misure spot non servono quindi a nulla, ciò che occorre è sapere cosa fare e come. E la scienza in questo può essere per noi un validissimo strumento oltre il chiacchiericcio della politica.