La tecnologia e la sostenibilità sembrano realtà lontanissime eppure tra le sfide del nostro presente e del nostro futuro c’è anche proprio quella di trovare un giusto mezzo tra le due e un nuovo indice stilato dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale prova a creare un ritratto degli italiani in questo senso
Si chiama DiSI, ovvero Digitale Susteinability Index e misura, comì come descrive il comunicato stampa di presentazione, il livello di consapevolezza degli utenti nel momento in cui utilizzano la tecnologia in ottica sostenibile. l’Index prende in considerazione principalmente tre fattori: la digitalizzazione, la sostenibilità e la sostenibilità digitale.
L’immagine che emerge dall’analisi condotta con 3600 interviste è veramente interessante e ci permette di valutare e di guardare al nostro Paese in un’ottica diversa. Soprattutto se guardiamo alle prime posizioni della classifica che dall’Index emerge.
Al primo posto si trova il Trentino-Alto Adige in cui i cittadini hanno sia un buon livello di digitalizzazione generale sia una profonda consapevolezza del possibile ruolo della tecnologia nella sostenibilità. Al secondo posto troviamo invece, un po’ a sorpresa forse, il Molise. Una regione in cui l’indice di digitalizzazione è bassissimo ma che riesce comunque a strappare la seconda posizione al Lazio grazie all’altissima percentuale dei cittadini che danno alla sosteniblità una grande importanza.
Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, commenta in questo modo soprattutto le motivazioni che hanno penalizzato altre regioni, quali per esempio Toscana e Piemonte: “A penalizzare queste regioni non è tanto il coefficiente di digitalizzazione che – fatta eccezione per le Marche – è al di sopra della media italiana, ma il rapporto molto sfavorevole tra utenti digitali e utenti digitali che hanno consapevolezza del possibile ruolo della tecnologia come strumento della digitalizzazione, oltre a comportamenti conseguenti“.
Non sempre, questo è sicuramente uno spunto di riflessione, avere a disposizione gli strumenti tecnologici adeguati permette di sviluppare una coscienza sull’utilizzo sostenibile delle stesse tecnologie. Anche se ciò non significa che la tecnologia non debba raggiungere e dare quindi le stesse possibilità a tutti i cittadini. Il digital divide nel nostro Paese è e rimane a tutt’ora un problema, che ha acuito enormemente le già evidenti differenzi tra le varie regioni.
Altrettanto importante e altrettanto interessante sono i quattro profili sociodemografici che sono emersi dall’analisi e che ci permettono di avere un vero e proprio identikit. Il 31% degli italiani è composto dai cosiddetti “insostenibili analogici”, ovvero quelle persone che non hanno atteggiamento e comportamenti volti alla sostenibilità e non usano strumenti digitali. Si tratta in prevalenza di donne oltre i 44 anni, diplomate e che vivono per lo più nei piccoli centri del sud e delle isole con un reddito fino a 40mila euro.
Sono invece il 26% degli italiani i cosiddetti “sostenibili digitali”, uomini per lo più con un età tra i 18 e i 44 anni, laureati che vivono nei grandi centri del Centro e del Nord Est con un reddito che supera i 30mila euro. I sostenibili digitali sono ovviamente l’esatto opposto degli insostenibili analogici: hanno atteggiamenti orientati alla sostenibilità e utilizzano gli strumenti digitali.
L’altro 50% circa della popolazione si divide tra insostenibili digitali (25%) e sostenibili analogici (18%). Se proviamo a sommare gli analogici tra loro e i digitali tra loro otteniamo una divisione pressochè perfetta della popolazione italiana da cui possiamo anche vedere come gli “analogici” siano comunque di età superiore ai 44 anni.
Un segno questo di come la tecnologia non venga percepita come utile allo stesso modo dalle diverse fasce di popolazione e di come occorra invece far crescere una coscienza tecnologica sostenibile armonizzata per non trovarci con il Paese diviso a metà.