Un report di Greenpeace Germania lo conferma. Tuttavia le istituzioni, specie quelle italiane, sono troppo timide e reticenti
Si chiama “Drive change”. E’ lo studio effettuato da Greenpeace Germania analizzando il piano di fuoriuscita da benzina e diesel disposto dalla Comunità europea. La data stabilita, che di per sé sembra obiettivo difficile da raggiungere, è il 2035. L’associazione ha comparato il consumo di petrolio fino al 2035 con una data anticipata di 7 anni, il 2028. Ne emerge che si ridurrebbe il consumo di greggio di 540 milioni di tonnellate e le emissioni di CO₂ di 1,7 miliardi di tonnellate. Il che non comporterebbe solo un vantaggio per l’ambiente, a anche per i consumatori.
Da queste cifre risulta che i cittadini europei risparmierebbero 635 milioni di euro. Una cifra che in piena crisi energetica è più che rilevante. Federico Spadini, campagna trasporti di Greenpeace Italia, interviene sul tema: “I prezzi dell’energia sono alle stelle, in Europa è in corso una guerra finanziata dalle importazioni europee di combustibili fossili, e la comunità scientifica avverte che con l’attuale livello di emissioni non rispetteremo gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima”.
Gli Accordi di Parigi non possono essere un obiettivo puramente formale. Si era stabilito che la temperatura terrestre non dovesse superare l’aumento di 1,5 gradi rispetto all’inizio del secolo scorso, quando sono iniziate le misurazioni. Ma dal 2015, anno in cui gli Stati firmatari hanno sottoscritto l’impegno, non molto è stato fatto per rispettarlo. E la conseguenza tangibile è un aumento vertiginoso delle temperature che rischia di desertificare in breve tempo anche aree di territorio fino a poco tempo fa fertili.
Ed il nodo delle emissioni di Co2, derivanti dalla produzione e dal trasporto su strada, è un giro di boa fondamentale. “L’industria automobilistica, con la sua dipendenza dal petrolio, è al centro di queste molteplici crisi, perciò non possiamo continuare a rimandare la sua riconversione, che avrebbe enormi benefici ambientali, sociali ed economici“, continua Spadini.
I piani italiani di incremento delle energie rinnovabili stanno incontrando non pochi problemi. Il ministro Cingolani mette in dubbio la transizione del parco macchine da carburante fossile ad elettrico. E l’alibi dell’eventuale perdita di posti di lavoro non regge più. Numerosi studi hanno dimostrato che il pericolo è pressoché inesistente. Il rischio veramente grande è quello ambientale, che è diventato talmente urgente da dover essere calibrato in base alle necessità primarie. E non si parla di consumi, ma di risorse idriche, fondamentali per l’esistenza stessa.
Il divieto di vendita di auto a benzina e diesel al 2028 potrebbe dare un respiro più ampio alle rinnovabili. Ma servono iniziative che si potrebbero chiamare coraggiose, ma che in realtà non sono altro che logiche. Conclude Spadini: “È il momento che il governo italiano smetta di farsi influenzare dall’industria dei combustibili fossili e scelga ciò che è davvero giusto per l’ambiente e l’economia del Paese”.