Dall’indagine emerge che molti cittadini, post pandemia, sono stati costretti a rivolgersi a strutture private anziché SSN
La sanità privata assume un ruolo sempre più centrale nella cura dei pazienti. Condizione già in corso ma esacerbata dalla pandemia, dove il carico di lavoro che gravava sull’SSN ha reso quasi impossibile una consuetudinaria gestione delle prenotazioni e delle prestazioni sanitarie in ospedale o ASL. La focalizzazione sul Covid ha messo in luce un sistema sanitario pubblico già ampiamente compromesso, e delegato in molti casi a strutture private.
Tuttavia, i centri convenzionati non sempre soddisfano tutte le esigenze. Può capitare che in uno stesso esame del sangue alcune voci siano convenzionate ed altre no. Ed allora la scelta è tra pagare di più o mettersi in lista con il Sistema sanitario nazionale.
Altroconsumo ha svolto un’inchiesta, pubblicata il 16 giugno sul portale omonimo, in merito ai costi di cinque prestazioni sanitarie. Sono stati confrontati i prezzi tra servizio pubblico e privato e tra privato e privato in 10 città italiane. Milano ha vinto il podio in quanto differenze di prezzo tra i vari centri privati. In alcune strutture può arrivare a 7 volte tanto, 553% in più. A seguire Torino e Roma, tra le città più costose nel settore privato. Tuttavia c’è da sottolineare che sono aumentate parallelamente le assicurazioni sanitarie che il cittadino può decidere di stipulare privatamente, oppure richiederle al datore di lavoro.
Questo dà un accesso facilitato alle spese per sostenere esami diagnostici e/o prestazioni ambulatoriali generali. Sempre che i centri privati accettino l’assicurazione. Nel frattempo nel settore pubblico, dal 1° settembre 2020 è stato abolito il Superticket sanitario, che prevedeva prestazioni costose anche tramite SSN. Con l’eliminazione, per le prestazioni base non si paga più di 36 euro, in alcune regioni anche 30. E questo aumenta il divario dei costi tra pubblico e privato. Di conseguenza, dall’analisi di Altroconsumo emerge chiaramente che il settore pubblico è in ogni caso il più conveniente.
Il problema sono le liste d’attesa, i cui tempi sono estremamente dilatati se non proibitivi. Il Ministero della Salute ha stimato che “tra il 2019 e il 2020 sono state rinviate circa 30 milioni di prestazioni sanitarie. Solo negli ultimi 12 mesi, l’81% di coloro che hanno cercato di prenotare visite specialistiche o esami diagnostici tramite il Ssn ha riscontrato difficoltà legate alle tempistiche”. La conseguenza più amara, e si può osare dire pericolosa, è che il 5% dei pazienti con visite programmate ed il 4% con esami diagnostici da effettuare, ha rinunciato del tutto alle prestazioni sanitarie, e quindi a curarsi.
Tra il 60 ed il 70% dei pazienti con problemi per le liste di attesa hanno scelto di rivolgersi a strutture private, sostenendo costi talvolta proibitivi. Le informazioni sono state reperite tra il 5 ed il 10 maggio 2022 su un campione di 803 intervistati.
Sanità pubblica e privata ormai vanno a braccetto, ma a farne le spese, nel senso letterale del termine, sono i pazienti. Il rischio è che ci si avvicini sempre più al modello statunitense, dove la tutela della salute non è diritto ma privilegio.