Gli NFT sono sicuramente una delle novità tecnologiche più divisive del nostro presente e il caso del museo degli Uffizi di Firenze mette sotto i riflettori la necessità di trovare anche nuovi modi per esprimere il diritto d’autore e proteggere il nostro patrimonio
Con la sigla NFT si identificano i cosiddetti non fungible token, oggetti virtuali di cui non si può usufruire nel mondo reale ma di cui si può dichiarare il possesso. Possedere un NFT significa possedere un certificato, in formato digitale anch’esso, su cui viene sancita la proprietà di un qualcosa che esiste solo nel mondo digitale e che molto spesso corrisponde a un indirizzo internet da cui è possibile vedere l’oggetto che si possiede.
Sembra una definizione un po’ farraginosa ma in realtà in termini più semplici è un po’ come se si possedesse una stella e tutto ciò che si ha a dimostrazione fosse un pezzo di carta. La differenza è che gli NFT sono assurti a opere d’arte, perché la possibilità di poterne certificare con assoluta certezza il possesso li rende unici, in barba un po’ anche a quello che nel 1936 si domandava Walter Benjamin riguardo la riproducibilità delle opere d’arte.
Siamo ufficialmente entrati in quell’epoca in cui ciascuna opera d’arte può essere ricopiata e riprodotta infinite volte con tutte le discussioni riguardo il diritto d’autore e la definizione stessa di opere d’arte che ne conseguono.
Gli NFT hanno riportato al centro del discorso artistico anche questa idea della riproducibilità. Perché, se un artista contemporaneo può decidere di affidare il proprio genio a un non fungible token, qual è il ruolo e quale deve essere la posizione dei musei nei confronti delle opere d’arte del passato? Una domanda che torna prepotente a causa del contratto stilato (che a quanto pare ora si è esaurito) dal museo degli Uffizi con la società Cinello srl.
Sul sito ufficiale della società si legge: “Immagina di poter godere di un capolavoro della storia dell’arte che si trova in qualsiasi parte del mondo. Immagina di poterlo possedere. Immagina di poter supportare il tuo museo preferito acquistando opere dalla sua collezione. Adesso è possibile.” Per fare tutto ciò, la società dichiara di aver creato “un nuovo Universo digitale per le opere d’arte” in cui circolano “versioni digitali, protette da brevetto, numerate in edizione limitata ed autenticate” di opere per le quali i musei partner della società “hanno concesso i diritti per l’opera digitale“.
Da sempre le grandi opere d’arte vengono riprodotte sotto forma di poster, puzzle, stoffa per borse e magliette, segnalibri, matite, guanti da forno, mutande. Tanto per citare il merchandise che va per la maggiore nei musei del mondo. Che cosa quindi ci turba del fatto che una società abbia firmato con uno dei musei più grandi e famosi nel mondo un contratto con cui riceve in via non esclusiva i diritti di poter realizzare copie digitali delle opere d’arte che possiede?
In realtà nulla dovrebbe turbarci ma l’accordo tra gli Uffizi e Cinello srl deve quantomeno aprire un dibattito finalmente reale sui diritti d’autore relativi alle opere d’arte in un’epoca in cui non c’è più solo il pericolo, chiamiamolo così, di un poster stampato a partire da una fotografia fatta con il cellulare ma anche tutta una serie di questioni che riguardano la possibilità che soggetti malintenzionati riescano in qualche modo a mettere le mani sui file e sulle copie digitali di queste opere d’arte e li rivendano al mercato nero o le utilizzino per portare a compimento truffe.
Una situazione che riguarda, o meglio può riguardare, tutto il nostro patrimonio e che quindi ha portato anche a una interrogazione presso il Senato della Repubblica a firma Corrado Margherita, Granato Bianca Laura, Lannutti, Angrisani Luisa lo scorso 30 maggio.
Una interrogazione in cui si chiede, tra le altre cose “perché la cessione dei diritti sulle immagini delle 40 opere delle Gallerie degli Uffizi sia stata effettuata a favore di Cinello S.r.l. senza bandire alcuna procedura ad evidenza pubblica“. Perché trattandosi di un museo in cui è contenuto parte del patrimonio del nostro Paese è chiaro che, per quanta libertà e autonomia possa avere l’istituzione museale, mancando una normativa esplicita in materia si rischia il caos nonchè danni.