Da circa un anno si è tornati a parlare del fatto che le autostrade sono tornate in mano allo Stato. I Benetton hanno infatti ceduto la loro quota azionaria a una cordata guidata da Cassa depositi e prestiti ma rischiamo comunque aumenti del 1,5% sui pedaggi nella rete gestita da Autostrade per l’Italia. Perché?
Autostrade per l’Italia ha pubblicato lo scorso 27 giugno una nota denominata: “REVISIONE DELLE TARIFFE ANCORA IN FASE ISTRUTTORIA” con cui specifica che è ancora aperta l’istruttoria in sede ministeriale che riguarda le previsioni di aumento dei pedaggi e che dovrebbero attestarsi a un +1,5% dopo 4 anni di blocco tariffario a partire dal nefasto 2018, anno del crollo del ponte Morandi. Nella stessa comunicazione si sottolinea come questa revisione delle tariffe non sia dovuta agli attuali incrementi dei costi dei materiali ma sia già stata preventivata nel Pef.
Come ricordano i colleghi di Altreconomia, in realtà però non c’è niente di pubblico nelle autostrade perché le regole delle concessioni, nonostante siano stati esclusi i Benetton da Aspi, non sono cambiate. Basta guardare i numeri pubblicati anche dalla Corte dei Conti per capire come ci sia un equilibrio malato nei rapporti di forza tra lo Stato che concede la gestione delle autostrade e le società che si fanno carico di questa gestione.
Nel corso del periodo di tempo che va dal 2009 al 2019, di nuovo stando alla relazione della Corte dei Conti pubblicata a dicembre del 2019 stesso, ci sono stati aumenti sempre superiori all’inflazione per quello che riguarda le tariffe autostradali.
In totale i gestori autostradali sono riusciti ad accumulare quasi 12 miliardi di euro di utili ma, nonostante questa mole ingente di denaro, gli investimenti previsti nei piani forniti dagli stessi concessionari sono stati pari neanche a due terzi di quanto stimato.
La stessa indagine pubblicata dalla Corte dei Conti dedica un intero capitolo, il capitolo IV, a “Le inefficienze dell’assetto concessorio e le iniziative assunte“, seguito da un altro capitolo, il capitolo V dal titolo quanto mai impossibile da fraintendere “La lentezza nello svolgimento delle gare“.
Nel capitolo che riguarda le inefficienze dell’aspetto concessionario si fa riferimento a come nel giugno del 2019 l’Autorità per i trasporti competente abbia provveduto a predisporre “il nuovo sistema tariffario unico di pedaggio a fine di ridurre la remunerazione del capitale investito, introdurre i parametri di efficienza più stringenti, restituire parte dei ricavi generati dal traffico oltre le previsioni e indurre al pagamento di penali per i ritardi negli investimenti”.
Anche da parte del Ministero dell’Economia, con un parere che viene riportato sempre dell’indagine della Corte dei Conti, si riconosce come il fatto che disciplinare le concessioni attraverso “convenzioni approvate con legge ha reso non praticabile – dal 2007 a oggi – una rinegoziazione volta a consentire la generale applicazione delle regole tariffarie adottate con la delib. n. 39/2007“.
E più avanti ritorna il problema che stiamo analizzando ovvero il fatto che il sistema delle concessioni prevede una non creazione di un meccanismo che leghi le tariffe ai costi: “La disconnessione delle tariffe ai costi, oltre a rappresentare un evidente vantaggio per le concessionarie, costituisce un forte incentivo alla non effettuazione o al rallentamento degli investimenti. Infatti, quando le tariffe sono indipendenti dai costi e, quindi, dagli investimenti, a minori investimenti e manutenzione corrispondono maggiori profitti per le concessionarie“.
Si tratta questo di un principio facilmente comprensibile e che può funzionare bene nel libero mercato tra società private ma non in un rapporto con lo Stato che deve garantire non i guadagni di poche società ma il benessere della cittadinanza nel suo complesso. Dire che le autostrade quindi sono tornate ad essere dello Stato non significa nulla se non vengono modificati i rapporti tra concessore e concessionari per favorire (o imporre) gli investimenti e la manutenzione.